Borgo Val di Taro è un miraggio. L’autostrada segnala l’uscita ma è tutto molto confuso. Emilia, Liguria e Toscana compongono un trivio inespugnabile, i boschi chiudono e tutto quello che resta viene fagocitato dal greto del fiume Taro che lascia rocce bianche e cespugli inerti. Borgotaro è una facciata pastello con un ricamo di persiana verde-Liguria che confonde il mare con la montagna e con la località termale da belle epoque. Qui, dove i funghi regnano incontrastati e dove i raccoglitori dormono in macchina nell’attesa dell’alba e delle creste piene di porcini, le nuvole ricoprono quella parte di sole che ridà tutto indietro sotto forma di fine del mondo. C’è quella luce classica che spoglia l’anima, che ci fa sentire più nudi e più vicini, in un abbandono da centro storico raffinato che prova a rubare un po’ di egemonia a quella natura che tutto si prende. Perché qui il selvatico è ancora selvatico e le persone, sul crinale di un passaggio infestato nel corso delle estati, hanno preso il turismo cercando di renderlo il più quotidiano possibile.
Niente funghi e niente Parmigiano di montagna ma una pizza. Quello che spinge è sempre un’eversione. Pizzeria I Due Gatti. Dino e Massimo con il supporto della figlia/sorella Chiara e di suo marito alle preparazioni. Un ristorante/pizzeria che più tradizionale non si potrebbe immaginare, un’apertura recente e d’asporto a Parma e possibilità infinite, per tempo, cultura, bellezza, precisione ma soprattutto ricettività rispetto a quel contemporaneo che, lì, tra quei tavoli confortanti di quel luogo di provincia dove non può capitarti nulla di spiacevole, è talmente atemporale da non entrare mai nella dialettica. Ma è così. Massimo Gatti è un grande pizzaiolo contemporaneo.
Leggerezza e conservazione sono i dettami imprescindibili. Autolisi e idratazioni trompe l’oil. La soavità della pasta non è data da un eccesso di acqua ma da lavori enzimatici fatti talmente bene da ingannare. La maturazione parte da una biga e viene mantenuta sempre a temperatura ambiente. Nessun rallentamento della lievitazione, madre e birra insieme, una precottura dell’impasto e finale in forno (o a casa). Qualcosa che ricorda Roberto Ghisolfi ma senza dogmatismi. Farine Grassi (che hanno sostituito nel tempo Quaglia), fragranze contenute e friabilità perfetta. La pizza si chiude e si apre, la crosta non esiste. La cottura dà il tono ma non brucia, gli alveoli sotto il topping mantengono intatta una levità rara. Una pizza gentile, con accoppiamenti estemporanei, visto che ormai Massimo lavora nella succursale di Parma dove sta provando a rendere quotidiana la sperimentazione.
Così i produttori sono a metà strada tra l’eccellenza delle forme di Lucedio Bocchi e i trifolai locali sempre con il tartufo giusto tra le mani. Perché la stagionalità delle pizze è qualcosa che va al di là di qualunque moda. Qui bisogna fare così. Bisogna seguire le stagioni, i campi, i boschi, i casari, i norcini e gli allevatori. Non ci sono vie di mezzo e non ci sono vie di fuga.
Il lavoro di Massimo, ma anche quello di Chiara e Dino, è improntato verso la fiducia e verso il ricambio. Sono una famiglia con i rapporti di forza perfettamente definiti. Massimo ha studiato, ha deciso, ha permesso il salto di qualità attraverso l’Alma, gli stage e i corsi al Mulino. È tornato con un’idea da affinare. L’esperienza gastronomica non l’ha costretto nelle maglie di uno chef ma l’ha portato verso l’artigianato, verso quella strada che non è solo contrasto, “acido-salato, il croccante che manca e il dolce a chiudere tutto”. È molto di più. È famiglia prima di tutto.
E da lì sta provando a far collimare il suo lavoro sulle fermentazioni e sulle farine con il lavoro sugli ingredienti e sulla materia prima, senza puntare ad essere la prima pizzeria stellata, ma provando a rispettare in prima battuta il portafoglio e la voluttà del cliente. E così la precottura permette di completare la pizza a casa, senza dover correre cercando la coibentazione del cartone e lasciando la possibilità alla conservazione senza conservanti di fare il proprio corso. Perché il futuro è il banco dei surgelati senza etica e senza poesia, e il passato lo sguardo di Dino che non può essere messo da parte e quella storia di prodotti, produttori, montagna, città ma soprattutto mani.
Massimo deve solo trovare la giusta comunicazione che non lo faccia scambiare per quello che non è, che lo mantenga insaturo e soprattutto senza una necessità alla marchetta oggi sempre più solare. Tra giornalisti e addetti ai lavori, il dover rendere conto sembra diventato lo sport principale. L’etica è un vestito di due taglie fa. Così questi volti, come quelli di Alessandro Lunardi a Brugine e o di Marco Locatelli a Vimercate, hanno ancora quella condivisione senza professionismo che fa scendere dal letto anche con una febbre lancinante e una voce senza domani… Ecco, la pizza di Massimo Gatti è semplicemente intelligente…
I DUE GATTI
STRADA NINO BIXIO 76
PARMA
LARGO ROMA 4
BORGO VAL DI TARO (PR)