La pasionaria del Macagn e l’anima dell’alpeggio… Emanuela Ceruti e Livio Garbaccio

macagn

Civiasco. Alpe Lincèe. Novara. Tre luoghi e tre tempi diversi. Paese invernale dove mungere e caseificare il formaggio di stalla; alpe estiva dove monticare le proprie vacche e i propri bambini, abbandonare le sovrastrutture, prendere atto dello “spartanesimo” rurale e produrre formaggio ed erba; città indefinita, retaggio di un passato economico ed epitome dei mercatini necessari per comunicare e vendere il proprio lavoro. Il paese è un’immagine tenue-pastello tra le righe dello Zicchinèe; l’alpe è una mia azione incosciente in mezzo a curve, foglie di quercia e di castagno, macchina da fondo troppo basso, una sbarra ad interrompere l’asfalto, una discesa nello sterrato di poche decine di metri e un ritorno al senno; la città è una festa di bambini che si lanciano dall’alto, di montagne solo raccontate e di prodotti tipici che del fondovalle si portano dietro tutte le contraddizioni.

Emanuela Ceruti è un’ex ragazza di città, nata sul Sesia. Ha studiato, è andata via di casa, si è laureata in economia all’università di Pavia, ha lavorato tra Novara e Milano, alla soglia dell’esame per diventare commercialista ha passato una notte insonne, ponendosi le più classiche domande sul suo posto nel mondo, e ha deciso di fare i bagagli e di tornare in valle. Lì ha conosciuto Livio Garbaccio, allevatore/casaro/monticatore per tradizione, e se n’è innamorata. L’ha sposato, mettendo a posto le tegole del suo puzzle. Lei voleva la montagna e la famiglia Garbaccio era la montagna, era la rappresentazione, meno indenne dalle sofisticazioni, di quello che la Valsesia è stata per secoli. Nei tempi antichi c’erano cinquecento malghe caricate, il formaggio è sempre stato la quotidianità di volti senza una comunicazione al di là della propria espressione.

Rughe, sudore e suocere.

L’Alpe Lincèe era ed è un luogo particolare. Non particolarmente remoto, ma in mezzo al bosco. È sempre stato monticato da Livio d’estate e vissuto da Angelina, la suocera di Emanuela, tutto l’anno. Neve, sole, candele, mancanza di comodità, legno e le sue capre vallesane che rimanevano con lei tutto il tempo. Il focolare è qualcosa di molto riduttivo. Angelina era ed è l’alpeggio, era ed è una storia, era ed è un giudizio o il giudizio. La circospezione non è la maniera d’approccio di Emanuela, a quella preferisce gli errori e gli insegnamenti. Così, prendendosi Livio, si è presa in carico una vita di storie dove la bonomia della natura e quella del passato avrebbero pervaso le sue giornate. Ma lei VOLEVA quello, voleva qualcuno che gli insegnasse una possibilità dove costruirci dentro una vita.

Poi un giorno è arrivata una crisi, i prezzi, il prodotto, i clienti. Suo marito Livio avrebbe voluto vendere le vacche e ricominciare da zero o da uno, insomma dal basso. Emanuela no, lei aveva scelto e vedeva ancora un futuro. Il compendio in una frase “Ti ho sposato perché i nostri figli potessero avere il tuo sguardo… e adesso vuoi mollare?”: così hanno resistito in un anti-romanticismo silvestre che non sfiora nemmeno più la neve per quanto distante. Per me non c’è molto di più, potrebbe tranquillamente finire tutto qui, se non ci fosse un formaggio da rendere indietro.

Manuela ha provato a portare comunicazione in una valle dove i sofisticatori e gli imbonitori sono all’ordine del turista. Ha riunito attorno a sé un gruppo di allevatori, ha provato a tenere in piedi un presidio, ha cercato degli stagionatori seri che potessero completare il lavoro dove le sue celle e la mancanza delle celle altrui non potevano arrivare, ha messo a punto il “suo” Macagn, ha ricevuto i complimenti di Franco Parola, ha attinto l’attingibile da sua suocera, ha preso i racconti provando ad attualizzarli, si è dovuta adattare ad un alpeggio che non è sempre stato confortevole, ha provato a rendere meno bosco e più pascolo il luogo dove vivere, ha assaggiato i formaggi altrui, li ha trovati, delle volte, anche più buoni, ha provato a dare dei principi a cui uniformarsi per non creare formaggi troppo ondivaghi, ha tenuto a bada i commercianti, ha scansato gli affinatori, ha cresciuto i suoi figli, ha condiviso tutto questo con suo marito ma soprattutto non ha perso la voglia di crederci, quella che la fa entusiasmare e quella che la fa rimanere una statua di sale davanti ad opinioni un po’ meno opinioni su monoliti giusti e puliti.

Mascherpa e burro di siero solo per uso familiare, Toma del Macagn, macagnin (con tutto lo scandalo valligiano per una creazione così licenziosa…) e una piccola tometta del macagn ma solo di latte di capra e appannaggio esclusivo di Angelina. Tradizione, tradizione, tradizione. Cagliate lattiche, improvvisati affinamenti in erba o fieno, acarofilia spinta o acidificazioni particolari sono anime di altri lidi. Qui c’è un formaggio che tiene separate le mungiture e si produce due volte al giorno. Latte intero crudo naturalmente, caldera di rame, 37 gradi, nessuno spino, rottura a mano della cagliata in chicchi molto piccoli e irregolari, nessuna cottura della pasta (a volte una semi-cottura), pressatura a mano, spurgatura, scalzo convesso, 24 ore di salamoia (ma molti la sostituiscono con una salatura a secco) e forme piccole che non superano i tre kili, con enorme differenza rispetto alla maggior parte delle tome d’alpeggio. La mia domanda perché, ha avuto una risposta. “Tante volte le forme sono molto più grandi perché il casaro, dopo una giornata di allevamento e mungitura, è stanco e non ha voglia di produrre troppi formaggi”. Le brune alpine e le pezzate rosse di Livio mangiano fieno in inverno e erba in estate. L’autarchia è un sogno futuro. Un’integrazione proteica invernale è perlopiù necessaria. La stagionatura va dai tre mesi fino alla perdita dei sentori. Pasta morbida, elastica e paglierina, occhiatura sparsa ma controllata, un filo di umidità al naso e le note di fieno (o di pascolo) nitide ad ogni morso. La struttura non gessifica e non cremifica. Ha qualcosa dello stracchino orobico e la necessità lattica in bocca. È un formaggio molto oltre la pulizia…. In attesa del nuovo alpeggio…

Emanuela è talmente difficile da circoscrivere che lo stupore non riesce nemmeno a trasparire tra le righe. Donna con le palle è una definizione talmente facile da risultare inadeguata. Semplicemente, lei ha scelto… e tutto il resto ne è conseguenza…

 

LIVIO GARBACCIO E EMANUELA CERUTI

LOCALITA’ PIANAI

CIVIASCO (VC)

 

(foto crediti: macagn.com)

Irene

Io conosco di persona questa famiglia da quando sono bambina e persone così vere e genuine ne ho conosciute davvero poche..e persone come Angelina non ne esistono più..ogni volta che sei al Lincee ti senti a casa e ben venga questa gran voglia di continuare con tutto questo..Bravi Ragazzi..

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