La Pasqualina: un progetto originario… Riccardo Schiavi

pasqualina

Almenno San Bartolomeo. Tra l’Adda e il Brembo. In quella provincia orobica che non ha nulla da offrire più di qualche giallo e di qualche tempo reale, tra l’abitudine, il già visto e le rotonde. Qui è tutto equidistante, come se non ci fosse un neppure. Eppure una volta c’erano fabbriche identitarie, tetti a shed e mattoni refrattari, eppure questi erano territori dove si produceva, si coltivava e si allevava. Ore le stalle sono nascoste e gli orti sono confinati a voluttà private e a momenti pre-televisivi. Ecco il classico paese di qualunque hinterland fatto di misteri, di digressioni, di compagnie in motorino, di centri commerciali e di strade che fuggono via dalla noia. Così i giovani, prima dell’età da capoluogo di provincia e da ragazzette attaccate alle vetrine, devono districarsi tra la nebbia e i campi di quello che era granoturco, nella speranza di sopravvivere all’incedere della notte. Ma la tinta fosca è solo uno dei due punti di vista, l’altro parla di imprenditorialità, benessere e bellezza. E così, Riccardo Schiavi ha tirato fuori, dalle congerie confusionarie e padane, la storia della Pasqualina.

Oltre un secolo fa, in quella zona di Almenno definibile come Pasqualina, nacque un’osteria delle più semplici, qualcosa che assomigliava ad un ristoro per cacciatori, in aperta campagna, dove fermarsi del tempo per pensare. Da lì, la moderna trattoria degli anni ’60 è ad un attimo di strada. Il nonno di Riccardo l’ha traghettata nel tempo ai figli e ai nipoti. Il lavoro è sempre stato manuale, da bottega senza scorciatoie. Così è arrivato il gelato. Senza una particolare cesura e senza una particolare ispirazione. Quasi per caso. Metà anni ’90: Riccardo prende in mano quel luogo ormai fuori dalle rotte del jet set. ! Durante i bei tempi andati, tra il bianco-e-nero e il colore, Almenno era sede di un importante torneo di tennis per Vip e La Pasqualina era il ritrovo post-partita, facile, identitario ma soprattutto riservato.

Riccardo si è trovato in mano la possibilità di eliminare le strade più facili. Perché aveva visto la bottega, ne aveva tastato la fatica e aveva capito che non era quello il suo luogo. Per far ciò, doveva creare un ambiente artigianale, concependo il lavoro degli altri meglio di come avrebbe concepito il suo. Assistenza, fiducia e capacità di scelta. Così, a partire dal gelato, ha cominciato a lavorare sull’assenza e sul minimalismo. C’era da trovare un compagno distensivo alla fatica del gelato: ecco il tè.

La prima pietra era stata messa.

Ecco un locale funzionale di periferia che iniziava a mostrare gli albori di un’opera artigianale. Il gelato è stato decolorato, decongelato e decompresso. È stato portato fuori, sono stati bilanciati gli zuccheri, i neutri han lasciato carruba e poco altro, la chimica è diventata mezzo e non fine, e le materie prime hanno cominciato a brillare su una strada solcata da troppi imbonitori, soprattutto in quella che unanimemente, ormai, è considerata eccellenza. La pulizia degli sguardi che campeggiano meravigliosamente sul libro che si è dedicato per i cent’anni della Pasqualina, insieme alla minuziosità di certi primissimi piani sulle tessiture degli ingredienti primari sono lì come dimostrazione che c’è un oltre, dove l’aria è rarefatta e gli esploratori sono pochissimi.

Il packaging ha superato ampiamente il concetto di accattivante. È intelligente. Quello creato e brevettato per la vaschetta gelato è quasi geniale nella sua semplicità. Palline tra di loro separate. Così il gelato diventa conviviale senza miscellanee impossibili. Dalla castagna essiccata nei tecci di Calizzano al latte crudo preso dagli allevatori vicini alle sue gelaterie, dallo yogurt ripulito del superfluo alla nocciola di Emanuele Canaparo, dal marron glacé di Montella fino alla stagionalità della frutta di Romano Micheletti di Bolgare, un contadino come non ne fanno più. La struttura non strappa, non ci sono proteine in eccesso, così nessun sovra-gusto di latte in polvere, la tenuta è molto fredda, perdendo un po’ di grasso e un po’ di spatolabilità, soprattutto nei sorbetti. Gli zuccheri non confondono con trovate adescatrici e non disturbano. Servono. Come tenuta e come anticongelante.

Riccardo ci mette la faccia, in tutte le scelte. Quelle coese e quelle incomprese. L’apertura a Milano, quella a Bergamo e quella in Sardegna. Gli inizi lenti e le più che previste accelerazioni. Gli sceicchi arabi e le barche dei nababbi. La tostatura delle proprie mono-origini per il caffè e le consulenze di pasticceria. Nomi altisonanti, risultati altalenanti e una volontà di non guardarsi indietro. Così Riccardo ha messo a punto i suoi croissant integrali, le poche torte da forno, la pralineria, il laboratorio, la tostatura, le sue basi e i menù alla ricerca di un rispetto territoriale che non deve mai mancare. Alla Pasqualina si cerca, veramente, di fare ancora tutto con le mani. Nonostante il blasone, i premi, la contemporaneità, le mode e quei vezzi sofisticati che dell’imprenditore si portan dietro un concetto generalista di mondo e di fatica, un posto del genere è la rappresentazione contorta di una provincia abbandonata. Riccardo Schiavi è un uomo alla ricerca della bellezza… e l’artigianato è bella lastricata come strada…

 

LA PASQUALINA

VIA PAPA GIOVANNI XXIII 39

ALMENNO SAN BARTOLOMEO (BG)

 

VIA BORFURO 1

BERGAMO

 

VIA DEL PORTO VECCHIO 1 PORTO CERVO

ARZACHENA (OT)

 

VIA DE AMICIS 44

MILANO

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