Asiago. Estate. Nella via principale, la montagna è un’eco lontana e piuttosto nascosta alla vista. Negozi turistici, torte “orgoglio cittadino” a base di aromi, margarina e, giusto per non farsi mancare nulla, anche burro, pasticcerie che sembrano ripostigli, negozi in finto legno con le marmellate prodotte dallo scoiattolo, funghi finferli ovunque, accenti della pianura e tanto, troppo vecchiume. Si va dal decorticato dalle rughe modellate dal sole e dalla moglie in stile champagne ad Ermanno Olmi, che ha scelto questa piana per il suo quotidiano e per la vicinanza con il fu Rigoni Stern (uno dei tanti soprannomi per identificare il cognome più noto di tutto l’altopiano). Manca la suadenza patinata di Cortina o di Cervinia, e non è un male, ma Asiago rimane avvinghiato ai palazzi, ai colori pastello più altoatesini che veneti, al neoclassico delle chiese e al barocco delle guglie, tutto corredato da macchine e vigili. Un po’ claustrofobico.
Non serve molto però per rimettere in circolo il desiderio. Appena fuori, l’altopiano mostra la sua magnificenza di conifere, montagne basse e pascoli a ridosso della strada. Waister è uno dei pochissimi luoghi che producono stravecchio senza la necessità di una malga. Riccardo Rela, fino al 2005, la concessione ce l’aveva anche, poi gli è stata portata via da alcuni folli pastorizzatori che hanno impiantato la loro produzione quantitativa.
Estate. Le vacche sono al pascolo. Il presente lascia una stalla vuota e una nuova casera, comprensiva di punto vendita, stanze di stagionatura e abitazione da poco perfezionata. Riccardo, cinquant’anni, è uno dei più giovani produttori di Asiago, un formaggio dalle molte attitudine e dalle varie sfaccettature. Della nomenclatura “Prodotto della Montagna” l’avveniristico caseificio-supermercato, appena fuori paese, ne ha fatto un’egida, per scacciare i produttori di pianura, inopinabilmente facenti parte di una Dop che è più grande di una provincia. I fantasmi del caseificio sono quelli dei piccoli allevatori. Cambia solo il nemico. Il Consorzio fra i caseifici dell’altopiano, con le sue signorine dietro il banco che padroneggiano asiago cheese blu e rosso con fare deterministico, è quel miraggio da cui Riccardo si è sottratto un po’ di anni fa. Poche rughe, flessibilità, comunicazione. Una meteora tra le malghe. Che sia Porta Manazzo, con i prodi Rodeghiero brothers, che sia Malga Pusterle, immersa in uno straordinario lascito di silenzio e fiori, ma abbandonata all’incuria di un “vacca-dirimpettaio” dai piedi sul parapetto e dal dialetto feroce o che sia Malga Mandrielle, della famiglia Pozza, arcigna nella sua solitudine d’alpeggio, dalle straordinarie rendene e dal meno straordinario formaggio, con l’estrema piccantezza rimasta cinquant’anni addietro.
Sono oltre cento, per il più vasto sistema di malghe dell’arco alpino. Basta questo per trovare in Riccardo quel produttore che si è compromesso senza sputtanarsi.
Magari non troppa ricerca della razza (classiche frisone e brune alpine), magari non il fascino gambizzante dell’alpeggio, quello che il formaggio è già digerito in mezzo a campi fioriti e gonne svolazzanti, e magari nemmeno quelle casere diroccate dal siero e da anni di cagliate, però Riccardo fa buoni formaggi e uno straordinario stravecchio. I freschi, le caciotte, gli affumicati, i mezzani, i vecchi e gli stravecchi d’inverno sono formaggi semplici, poco definiti, azzimati sul gusto del cliente. Più improntati alla vendita che ad una chiara determinazione d’interesse. Riccardo lo sa, ma la necessità di un bancone pieno (completato da più che interessanti salumi, a partire da suini allevati in azienda… dalla soppressa all’ossocollo fino alla soppressa con all’interno l’ossocollo, senza nemmeno salnitro… solo sale e pepe, per un gusto morbido ma di un’invidiabile pulizia…) e di un po’ di diversità dall’ortodossia, spinge a colorare di fumè le croste e a trasformare una caciotta in un canestrato.
Poi c’è lo stravecchio d’estate, una di quelle ragioni d’essere per cui esiste Slow Food. Per difendere quei “quattro cristiani” che hanno ancora voglia di usare le caldere in rame, di stagionare sul legno, di perdere due anni di peso e di stagionatura con il rischio che problemi fermentativi, aria o troppa umidità mandino tutto a “donne di facili costumi”. Lo cerca e lo trova, dopo avermi fatto passare in rassegna le cantine, gli anni marchiati a fuoco sullo scalzo e la giustificazione di farne talmente poche di forme che superano i due anni da non ricordarsi neppure di averne. Formaggio semimagro, assolutamente “fresco”, nessuna umidità residua e nessun olezzo “cantinato”. La lacrima, a temperatura, ridà un prodotto di due anni straordinario: nessuna piccantezza, profondamente lattico al palato e, con mia grande sorpresa, estremamente muschiato. Poco granuloso e ancora meno asciutto. La pasta ha bassa salatura e una dolcezza appena accennata. La rarità arriva con l’affumicato finale. Per tanti motivi, definitivo.
Riccardo non ne è nemmeno conscio, lui va avanti a produrre i suoi formaggi, i suoi yogurt (buoni, ancorchè, per i miei gusti, un filo inconsistenti…), a condurre al pascolo le sue vacche che non hanno bisogno di un’alpe per l’espressione.
La luce dell’altopiano, irrimediabilmente compromessa dalle paresi facciali dei vecchi abbronzati alla ricerca di una malga dove espiare la propria “metropolitanità”, attraverso flash e forzosi pranzi genuini, rilascia il proprio crepuscolo con un sonoro “Arrivederci”. Dislivello da pianura già in vista e nessuna lacrima. Ma qualcosa indietro resta, con le sue balbuzie e le sue dizioni raffazzonate. Non tutto si è trasformato in patina. Quel po’ di sincerità, ben nascosta dietro le marmellate e gli scoiattoli, appare più negli sguardi che nei formaggi. Quelli dei malgari dispersi e dispersivi, quelli degli osservatori di vacche dai piedi sul parapetto, quelli delle scissioni familiari e quelli dell’allevatore che ha imparato a comunicare. Tutto è relativo. Un giorno infastidisce, quello dopo strugge…
AZIENDA AGRICOLA WAISTER
VIA WAISTER 46
CANOVE DI ROANA (VI)