La storia che si rinnova in un’oca. Gioachino Palestro

Mortara. Estrema propaggine dell’hinterland milanese, non del tutto Lomellina.
Il riso è alle porte, il nuovo terminale intermodale pure. La bellezza si nasconde sotto qualche portico, in qualche piazza, in una pasticceria, in un ristorante e tra le ali di un’oca.
In quet’ultima parola esiste Mortara, il suo popolo, i suoi reggitori e la sua Corte. Tra tutti, un personaggio ha spiccato e spicca sugli altri, per meriti, capacità comunicativa, serietà e recupero di una tradizione e di un territorio: Gioachino Palestro.
Infanzia e adolescenza condensate in quei pochi anni trascorsi dalla prima parola  alla prima comunione o poco di più, poi maiali, macelleria e norcineria. A dodici anni ha iniziato ad imparare come si crea un salame. A diciotto ha aperto la sua prima macelleria. Ma il suino non basta, non riporta, del tutto, l’odore di autenticità.
Gioachino inizia a scavare e scopre una storia che parte da lontano, dall’antica Roma e prima ancora dall’antico Egitto. Il viaggio a ritroso, alla ricerca di un’origine e di un gusto, è la più ardua delle rivoluzioni e non sempre si riescono a cogliere tutti i particolari, attraverso una visione d’insieme. Quel che è certo, è l’allontanamento da un modello francese che ha inglobato, all’interno della propria gastronomia, il fegato grasso (ormai in grande maggioranza di anatra, perchè meno costosa da ingrassare), non lasciando, se non al cercatore indefesso, la possibilità di andare oltre i confini di un inganno (che probabilmente rimane più nel destinatario del messaggio che nel mittente),  ben congegnato. L’oca, in Francia, l’hanno portata i cuochi di Caterina de’Medici.
Ma procediamo con ordine, cercando una filologia, dove possibile.
I primi ad ingrassare, oltre misura, le oche furono gli antichi Egizi che non solo la utilizzavano per alimentarsi, ma soprattutto per usi farmaceutici e cosmetici. Il suo grasso veniva usato per realizzare sciroppi per la tosse e per mantenere la pulizia e la freschezza della pelle.
I Romani, a seguire, rinnovarono l’impulso all’allevamento dell’oca. L’uso di ingozzarle con i fichi fece rinominare la parola fegato, ficatum, cambiando l’originario iecum.
La presenza dell’oca in Lomellina, invece, si attesta già nell’XI-XII secolo. Al centro di tutto ci sono gli Ebrei e la loro alimentazione Kosher che non prevede(va) utilizzo di carne suina. La spiegazione segue due strade:
– nutrita comunità ebraica attorno a Mortara e in Lomellina, dove la presenza di acqua e umidità favoriva la presenza del palmipede.
– il salame d’oca non era una prerogativa della comunità ebraica locale, ma una ricetta diffusa, tra gli ebrei dei cinque continenti.
Solo durante il rinascimento l’oca arriva in Francia, iniziano gli allevamenti in Alsazia e nei pressi di Tolosa, e il foie gras diventa l’eponimo della cucina più blasonata e importante al mondo.
La storia, a Mortara, passa dalla famiglia Orlandini con la bottega e i successi internazionali di inizio ‘900, a Gioachino Palestro, il grande comunicatore, colui che ha creato un mondo, lavorando con allevatori, macellai, critici gastronomici e norcini.
Oca bianca romagnola, ecco la razza preferita da Gioachino. Otello Bortolotti è il suo allevatore principale. Due tipologie di alimentazione. Quella ficatum, alimentata in una determinata maniera (senza inutili e dannosi ingozzamenti da fegato grasso, “parola vuota di senso”), con fichi e mais, in modo da avere un prodotto grande più del doppio rispetto a quello dell’oca da salame o da forno.
La sua famiglia lo assiste, a partire dai suoi figli. Daniele, nella norcineria, che poi ritroveremo tra le righe del racconto della nascita dell’ecumenico e Davide, attento chef e factotum di un albergo-ristorante (Il Cuuc), poco al di là del centro storico.
Il rapporto tra l’oca di Mortara e la mia gola comincia qui.

L’impatto è con il grasso (in seguito utilizzato anche per cuocere le patate…  asciutte e rispettose del sapore d’origine), utilizzato per creare le ochette di Mortara (con farina di mais) da parte del silente e misconosciuto pasticcere Adriano Bellan (agli onori delle cronache solo per una parte recitata in una pubblicità del Mulino Bianco). Sottolineando della mia incapacità di concentrarmi sul grasso utilizzato, la sapienza della semplicità ha espresso tutto nel rapporto tra i denti e la mancanza di zucchero.
A seguire (dopo una chiacchierata che mi fa capire come Davide avrebbe bisogno di una piazza più attenta al suo livello di passione…) assaggio i tortelli ripieni di stufato d’oca: dolci e selvatici, ricchi di interesse, e i salumi…

  – salame ecumenico: 
prima la storia… Incontro a quattro tra Gioachino, Daniele Palestro, Angelo Stoppani e un misterioso norcino mantovano. Tavolino. Il “Mantovano” chiede a Gioachino e Angelo di allontanarsi perchè lui deve parlare con Daniele. Gli insegna la ricetta dell’ecumenico, parola che investe il significato di pluriconfessionale. Solo grasso e carne d’oca, “lamata” a mano, insaccata e richiusa nella pelle del collo con legatura manuale. 
Il giovane ora sa e in Gioachino si percepisce fierezza. Il “Mantovano” lancia una sfida. Lui, Stoppani (coi suoi uomini) e Daniele lo prepareranno e si deciderà quale sia il migliore. Il giovane sbaraglia la concorrenza e mantiene il segreto. 
Poi l’assaggio. Stordimento. Il grasso d’oca non è fatto per amalgamarsi. Piccoli lardelli di pura bontà fuoriescono dalle caverne generate dalla carne che si presenta color carminio. Dolce, delicato con sentori di fiori in lontananza. La rarità sfiora l’eccezione.

  – prosciuttino: molto complesso da tagliare. La marinatura toglie la spontaneità stordente del dolce. Colore rosso intenso. Più raffinato e quotidiano. 

Infine ci salutiamo. Devo tornare a Marzo per il periodo del fegato.
L’impressione finale, quella che mi lascia un attimo sospeso, è vedere tutti quei prodotti sottovuoto. È  tutto troppo pulito. Sembra una di quelle scene che seguono gli omicidi di Patrick Bateman. È come se mancasse quella poltiglia un po’ torbida, molto letteraria, che appaghi la vista e sia propedeutica ai sensi che rimestano fascino. È tutto troppo freddo, sia dentro sia fuori… ma ormai le impressioni sono rarefatte e la suggestione si è bloccata lì…

CORTE DELL’OCA
VIA SFORZA, 27
MORTARA (PV)

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