Fossoli di Carpi. Piccola frazione oltre il passaggio a livello. Tre mila anime per eccesso, case basse, una grande via che la taglia in tre direttrici che si dipanano verso Modena, verso Verona e verso Mantova. C’è un’eco, poco nostalgica, di un passato contadino, forse più campagnolo e forse meno lacerato di quello che è stato. Le grandi arterie industriali si sentono, l’Appennino è lontano come l’interesse a fermarsi per un motivo preciso. Dopo averlo salutato, Roberto Papotti m’invita a fare sette kilometri per farmi un’idea di cos’è stato il terremoto. Tra sensi di colpa, curiosità vampiresca da cercatore d’incidente, e turismo da cappellino-giubileo, percorro quanto chiestomi e mi trovo a Rovereto sulla Secchia.
Meno di un anno dal sisma del maggio del 2012. Le crepe sulle case lasciano spazio a quello che fu il centro. Una chiesa mezza distrutta messa in sicurezza, sessanta case demolite da e per il crollo, una fila di container ad ospitare le botteghe artigianali e commerciali inagibili, qualche negozio manifestamente aperto, con cartelloni improvvisati a segnalarne la presenza, calcinacci, mattoni e semafori non funzionanti.
Il freddo reportage di una coscienza puerile con poche parole, maleodoranti e coatte da persone che, nell’algidità cronachistica, le hanno mandate a memoria manco fosse una giaculatoria. Me ne vado senza il piacere della conoscenza. Manco del rispetto forzoso e dell’educazione alla tragedia. Sentirsi una merda per due giorni, non credo basti a togliersi quelle immagini dallo stomaco… ci proviamo… un po’ carogna e un po’ politico….
La macelleria Papotti è un avamposto di frontiera tra la tradizione e la dimenticanza. Roberto, un macellaio cresciuto nell’idea che la macelleria dovesse svilupparsi, in primis, comunicativamente e, in seconda battuta, gastronomicamente, rivendica l’identità (formatasi a metà degli anni ’80, quando prese in mano la gestione dalle mani di suo padre) del suo banco e delle sue scelte. “Un amico e collega, poco distante da qui, ha rifiutato categoricamente l’approccio da “piatto pronto”, continuando a fare il suo lavoro come si faceva quarant’anni fa… ora rischia di chiudere!”. Giustizia? Equità? Errore? Fuori contesto, abbraccerei a piene mani il suo amico (…la fortissima comunicazione, per esempio, di un Sergio Motta, è andata in quella direzione, aiutata dal geniale espediente della mostrazione: di bue grasso e lunghe frollature…), nella speranza che il macellaio possa restare tale. Nell’attuale scena clientelare, capisco e continuo ad ascoltare.
Roberto ha poco tempo, decide lui la gestione della comunicazione, prepara eventi, coi suoi colleghi più evoluti – da Cecchini a Pellegrini -, un po’ per beneficenza, un po’ per goliardia, un po’ per il piacere della ciccia, studia la clientela di una frazione vicina ad una città di oltre settantamila abitanti e cerca di carpirle il tempo. Quando ce n’è poco, il mito dell’”esotico”, quello da agenzia di viaggio o da cottura perfetta e barbecue già profumato, deve essere condensato in una preparazione. Quindi lo spiedone prende il posto della fiorentina da cuocere, involtini, svizzere (buona una preparazione con ricotta e spinaci), spiedini e lonzine avvolte nel pistacchio, quello della bistecca. Il polpettone prende il posto delle lunghe cotture. Gli stracotti, i brasati, i bolliti sfidano la medietà e forse la mediocrità. Non si erudisce con il saper fare ma si prova a farlo con il saper gustare. I tempi si contraggono e spariscono le massaie, gli stipendi e le tradizioni. Il macellaio è il succedaneo di una determinazione, molto casalinga, di quelle parti della bestia, così definite nella quotidianità delle donne e degli uomini di provincia.
Oggi, Roberto, passato attraverso i “periodi” della Chianina e della selezione della razza, non ha più il tempo di porsi in ascolto dell’allevatore, di fare una scelta stalla per stalla. Rimane inter-detto in una filiera in cui la fiducia deve essere l’ultima chiacchiera. Sull’alimentazione e il benessere, gli basta guardare la carne. Ed effettivamente, scegliendo principalmente scottone, frollate medio-lungamente in mezzena, direttamente in loco, arriva a risultati assolutamente precisi e determinati. Il roastbeef con le sue spezie, è un concentrato di glutammato, sapori, morbidezza e pericolosità gastro-sfiziosa. La salsiccia, conciata con il Chianti, retaggio di qualche ameno passaggio toscano, è sapida, appena percepibile, poco acida. Roberto sa come affabulare, racconta e tira fuori dei prodotti assolutamente “underground”. Una soppressata di Carpi (o coppa di testa) favolosa. Ricetta ottocentesca, parti della testa del maiale cotte a legna nel rame, con pinoli, pistacchi e Parmigiano. Io sento un finale vegetale, dissetante, contrastante. Roberto non ha messo né sedano né porro. Rimango lì in attesa che ritorni. Un po’ inebetito.
Una marmellata di maiale (“Essenza di maiale, con profumo della pianura Padana e punta di nebbia tagliata col coltello”) piacevole sui crostini e semplice. E poi c’è quel salame, che non vende, insaccato nel budello gentile, da spartirsi per le feste con sua sorella, senza adiuvo di nulla che non siano sale, pepe e carne, cinque mesi di stagionatura masticabile, pieno, profondo al gusto, senza sentori altri, senza muffe peregrine o umidità trovate casualmente. Notturno, come tutti i suoi prodotti migliori, quelli che arrivano dal passato, quelli che non può più fare o che non hanno più un mercato o una piazza. Frainteso nei gusti, nelle preparazioni e nelle ritrosie, ogni tanto mette a brillare quegli occhi che tirano fuori pezzi unici da creare, da soli, una comunicazione… ma in una frazione, alle porte di quello che il terremoto ha lasciato per strada, è difficile fare avanguardia… Roberto è un potenziale che viaggia in seconda…
MACELLERIA PAPOTTI
VIA I. MARTINELLI 38
FOSSOLI DI CARPI (MO)