San Giuseppe Jato. Qui, c’è stato un tempo dove era meglio non conoscere e non vedere. Tirare avanti, con la consapevolezza di non potere. Qui è meglio non scavare, né con la metafora e nemmeno con la pala. La Mafia ha stravolto le normali logiche di appartenenza e di percezione. Ormai è rimasto un paese defraudato, in mezzo ad un’arteria che collega Sciacca con Palermo. Tutt’intorno, ci sono posti più o meno famigerati e bellezze che di latitanza non ne possono più. Han bisogno di occhi e di mani infiorate di gelsomini e avvinghiate ad una gonna prosperosa…
Inizio di Settembre. Strade tortuose fiancheggiate da pale di fico d’India in versione omaggio. Frutti rossi e gialli sporgono le proprie lusinghe fin quasi alla macchina. I rumori son quelli della campagna, con alcune costruzioni che diradano ad ogni tornante, fino a scomparire. Manto stradale inversamente proporzionale ai metri percorsi. Sterrato finale e all’improvviso il caseificio. Latrati di ordinanza e facce che, eccezionalmente, non interrogano e non sezionano. Più interessate e meno silenti. Esistono ancora dei casari che utilizzano la parola a guisa del gesto. Uno di questi è un dinoccolato gentile che risponde al nome di Salvatore Polizzi, per tutti Salvino.
Il vezzeggiativo non depone a suo favore. E infatti il suo “nome” è un mistero. Gli addetti ai lavori han bisogno di certezze. E qui ho trovato solo una lista di domande, di dubbi e di tentativi. Qui l’errore non è un difetto ma l’anticamera di un nuovo prodotto. Salvatore, detto Salvino, non dà per scontato il fatto di non sapere, di non conoscere, di non potere arrivare laddove qualcun altro ha posto la bandiera e la nomenclatura, continua a credere nella conoscenza e nell’assaggio. Dapprima mi sembra addirittura piaggeria o eccessiva fiducia nel prossimo, poi capisco, indirizzato da lui. Salvino e sua moglie non mangiano formaggio e nemmeno l’assaggiano.
Mentre mastico e trovo il sapore, mi blocco. Stupito dai complimenti fattigli. Torno razionale. Cerco l’assaggiatore ufficiale. Nulla. I presenti sono tutti: lui, i consigli della gente, l’abitudine, anni di errori e di raffinate ricerche. Dire che non sbagli un colpo, è eccessivo, ma qui siamo vicini all’esoterismo. Una cabala di temperature e valori del Ph. Formaggi che si sviluppano su trovate geniali e su errori madornali di coagulazione, salatura o acidificazione, ma questo è facile – l’ermetismo gustativo è di per sé un salto nel buio -, e su canali e sapori soliti, tradizionali, che lui però non può sentire e, soprattutto, non può riconoscere. E qui casca il cieco…
Gli altri sensi hanno soccorso il suo gusto, rendendolo superfluo. Salvino guarda lo stupore senza sensi di colpa. Si accontenta di continuare a domandare e continuare a non fidarsi. Sia dei suoi formaggi, sia della sua comunicazione. Vendere non è un fatto di capacità, ma un fatto di possibilità. Di mistificarsi, di fingere o di raccontare. E qui si continua a lavorare. La bontà è un canale che mal si attaglia al sole, ai campi di grano e ai tenui mercatini di paese. Così la Cinisara, il suo recupero, i suoi formaggi e le sue carni (si è da poco sviluppato il lavoro su una bresaola, busambrina, che possa favorire il mercato, il cliente e l’assaggio…) hanno rischiato l’estinzione.
Si è formato un Consorzio che raccoglie qualche allevatore, qualche trasformatore e qualche ragazzo che ha dato agli studi universitari la forma del recupero. Qui si lotta per una sopravvivenza e per una piazza.
Salvino fu macellaio, si è trasformato in allevatore ed è diventato casaro per necessità. Ha un figlio che preferisce gli animali allo studio e una montagna dove disperedere le sue bestie.
– Pecora del Belice con il quale gioca, producendo la normalità del pecorino (pepato, senza eccessi aromatici), la tradizione rivisitata in una pagnotta (o vastedda) affumicata e sfogliata veramente alla perfezione, con un sapore di latte aiutato dal naso erbaceo e dal ricordo di fumo, e una fantasia controllata: robiola, crosta ammuffita e dura, pasta bianco candido, occhiature amare e ricordi di Murazzano… favolosa.
– Capra Girgentana: mistero, sia agli occhi che al palato. Dispersa in mezzo alla montagne per riprodursi. Per ora è un pensiero di caseificazione e uno sguardo endemico sulle possibilità e sul futuro.
– Vacca Cinisara: le derivazioni sono principalmente quelle del passato e del gusto degli altri…
– Caciocavallo palermitano, poco piccante e ancor meno astringente, ottime note lattiche, sfogliatura un filo contratta e ciccosa alla masticazione …con una rara, rarissima, eccezione, invisa a concorrenza e abitudini: coagulazione lattica vaccina.
In questo lembo di terra, sospeso tra l’incuria e la devozione, è un incontro acido con un gusto possibile. Da rifinire ma possibile…
Salvino è un passionale allevatore, dall’ingenuità della fede. Il suo latte crudo, in balia di folli Associazioni e pastorizzatori, diventa l’immagine di quella mattina in preda alla disperazione di una concorrenza fraudolenta e di una richiesta di portare via le sue creazioni, che avrebbero causato una difformità di giudizio. Il cliente, sulla strada dell’unicità del gusto, pervaso dalla possibilità, avrebbe abbandonato le guance solcate da terra e lamentazione. La pastorizzazione andava salvaguardata…
Ma gli occhi lucidi non lo hanno cancellato. Qui si è deciso di resistere all’abbandono. Salvatore Polizzi, casaro e allevatore, ha solo bisogno di un nome, di quel nome che possa rifinire, creando una tradizione nuova e definendo un territorio… ha bisogno di quel formaggio senza retaggi e senza consuetudini, perchè il gusto degli altri deve essere, per una volta, un accesso alla modernità…
AZIENDA AGRICOLA LA CINISARA DI SALVATORE POLIZZI
CONTRADA DAMMUSI
MONREALE (PA)
VIA CONTE DI TORINO, 75
SAN GIUSEPPE JATO (PA)