Ficarra. Pochi kilometri dal mare direzione Nebrodi. Di quei paesi rimasti in calcinacci, Ficarra non ne porta i segni. La sua storia è rimasta nei ciottoli, nelle viuzze e nei balconi barocchi che si guardano da vicino sulla strada principale. Ha un alto, un basso e una vista che investe olivi e noccioleti. Le piazze sono nascoste in fondo alle scalinate e l’asfalto lascia sovente spazio alle pietre. Pare che gli artisti ne abbiano fatto un luogo di rottura. Così. I locali dall’occhio bieco, nell’abitudine all’eccesso, hanno iniziato a sussumere la stravaganza sotto la categoria della normalità. Poche chiacchiere, pochi abiti scuri su sedie di paglia, poche “taliate” dall’effetto mummificatorio. Un fascino antico avvolge il paese. E qui, su questi monti, dove il verde è il più verde della Sicilia, nulla è dato per scontato. La natura è estremizzata senza logica. Ci sono catapecchie-agri-macellerie-ante-rivoluzione-gourmet, dove gli agnelli, di derivazione ignota, sono “carne di crasto” già accatastata a kili dopo tipici e inesorabili antipasti “caciocavallo congelato-olive piccanti, finocchietto-in-pasta-di-salame e pane-digestione-nel fine-settimana” e poi ci sono meraviglie da girato l’angolo, zone di relax da amaca tra gli astragali, da viste sconfinate e oblique dall’Etna all’Eolie, ci sono apicoltori e venditori di granite, agriturismi in fondo a strade dissestate e mondo civile estinto su volti color ottone antico, arsi da camicie, bastone e sole sempre uguali a loro stessi.
Ai margini dei boschi, accanto alla fontana della Gebbia, mi aspetta l’inconsapevole nobiliare: Vittoria Piccolo. Cognome altolocato del messinese. Retaggi artistici e antenati lontani, ancora più lontani del più noto Lucio. Lei si schermisce dietro una normalità… ma tratti, modi e portamenti smentiscono l’araldica. Niente di nobile, almeno così pare. All’apparenza un caftano esotico post-hippie e una panda gialla in discesa verso le sue piante. Da lì, le sorprese diventano la regola e l’eccezione. Il resto è una conversazione frammentaria sul piacere, sulla passione e sulla morte.
Appena arrivato, nemmeno il tempo di fare una domanda, e vedo un’ombra colorata di rosso e oro passarmi accanto. “Ho visto un monaco buddhista? O è il caldo?”. Effettivamente era un monaco buddhista. Osvaldo Santi, ex imprenditore del comparto serico comasco, ha deciso di mollare tutto per dedicarsi al dharma. Da Pomaia alla Sicilia, Vittoria me lo fa passare come “colui che controlla gli ulivi”, manco fosse un illuminato zen. La passione terrena, che non mi fa vedere un Lama mangiarsi fino all’osso un suino nero dei Nebrodi, non è solo una mia prerogativa. Basta l’autocontrollo. Una passione che non diventi una compulsione. E allora si può anche tifare la Juventus sul divano. Magari senza bestemmiare.
Mi addentro in mezzo agli ulivi di oliva minuta (territoriale difesa slow food, tipicamente estratta dall’ambiente nebrodense) con Vittoria.
Ex grafico pubblicitario a Messina. Primo abbandono. Ex mamma a tempo pieno. Secondo abbandono con la crescita dei figli. Post imprenditrice agricola, prendendo in mano i terreni dei genitori. Ora siamo in quella via di mezzo dall’enormi potenzialità non ancora messe del tutto a frutto. Vittoria è una donna soave, di un’ospitalità antica e dalla facile apertura delle parentesi. La dilatazione dei tempi è un ritorno a casa con la nostalgia. Nessuna sicumera e nessuna certezza. Un prodotto che definisce buono e niente imposizioni.
Il frantoio a Naso, che si sta convertendo in biologico (la sua Minuta lo è già), produce un olio, denigrato fino a pochi anni fa per la sua inconsistenza e la sua facilità a corrompersi. Una cultivar rustica che cresce bene fino a ottocento metri di altezza. Le storie sui polifenoli, sugli anti-ossidanti, sulla cura dei tumori, sugli omega 3 e i grassi insaturi non fanno parte di queste terre e non sono una missione gustativa. L’oliva ha i suoi ortodifenoli e non va “blendizzata” per trovarne altri. Un olio che degrada nel corso del tempo, questa la definizione più comune.
Mi trovo tra le mani un prodotto di quasi due anni. Nessun sentore rancido. È vero, nessuna acidità o particolare struttura, ma un olio piacevole, assolutamente duraturo. Su quello sotto l’anno, le caratteristiche, chiaramente, cambiano e si dilatano i sentori: poca piccantezza, molta frutta, quasi secca, con un filo di astringenza da cultivar acerba, delicatissimo, un filo amaro, nessun sentore estraneo e miele di castagno nel finale.
Un olio che è già un produttore. Soprattutto quando decide di mostrarci il noccioleto, la cui raccolta va nelle mani del buon Caprino, mediocre facitore di trasformati, che le risolve il problema della vendita, non lasciandola in preda alla sue fantasie. Vittoria ha necessità di trasformare. Di mostrare e di trasformare. Di dare una personalità ai suoi prodotti. A partire dall’ingresso di casa sua. Una tenuta padronale (in conversione ad agriturismo… speriamo il più presto possibile…) di straordinaria evocazione. Dai tetti in paglia alle innumerevoli giare storiche, dalle scaffalature di libri alla cucina in muratura fino al balcone posto a penisola che non lascia requie alla vista. Un orizzonte infinito dal mare alle montagne. Un posto talmente silenzioso da diventare lettura, di miti e di terrore. All’ombra dei noccioleti, mentre un monaco e un suocero disquisiscono e conciliano religioni, parole e anime, Vittoria mi mostra il suo stare bene al di fuori del mondo. Ora, e lei lo sa, è arrivato il momento di rientrarci. Magari attraverso intrallazzatori mugnai, magari attraverso un’accoglienza, che non deve diventare una vendita, perchè è già una vendita. Il posto, la casa, il prodotto. Tutto senza segnaletica. In Sicilia non ci sono solo le donne che vogliono dimostrare al mondo di essere naturali ed emancipate, ci sono anche quelle che basta guardarle per prenderne un po’ di libertà. Ora basta convogliare il karma….
AZIENDA AGRICOLA VITTORIA PICCOLO
CONTRADA SAN FILIPPO
FICARRA (ME)