L’azoto come mezzo e non come fine… Marios Gerakis

GERAKIS

Bergamo bassa. Quel luogo a metà strada tra l’oltranzismo nichilista di chi si trova ad essere capofila delle sue valli, con un pensiero tanto prosaico quanto progressista, e il disorganico borghese che in quelle valli cerca formaggi e verdure biologiche, ma che pesta i denti dal freddo dell’assimilazione. Così rimane un reticolo di viali sospesi, portici dalla multa facile e attività imprenditoriali in attesa dell’arrivo del passeggio pomeridiano. Bergamo ha l’atteggiamento bobo del parigino annoiato e del borghese che ha venduto tutto ai russi. La bellezza estrema, di una città antropicamente nata sui suoi borghi e quindi filologicamente destinata ad avere una puzza di canfora sotto il naso, lascia sempre per strada i suoi figli minori, con gli anziani dal cappello in mano e pianoforti antiteticamente privi di senso. E così si continua a passare e a trovare artigiani che artigiani fino in fondo non sono. La colpa dell’invidia non è più neppure conforme. C’è stato bisogno della provincia, di una comunicazione patinata e di una novità da naso storto per farmi ritornare sui miei passi. E sono partito con delle premesse da rissa al centro del ring…

Marios Gerakis è stato un giramondo di professione, nato in Libia, originario di Symi, un’isola greca a due passi dalla Turchia, passato attraverso gli anni ’80 del Medio Oriente, il Sud America, l’India, la Toscana e approdato a Treviglio per amore, dopo essersi divertito tutta la vita, anche quando lavorava di notte facendo la spola tra gli ospedali. Ed effettivamente la bassa bergamasca non era un luogo da empatia ecumenica. Ancorché il suo spirito necessitava di semplice accettazione. Una volta non trovata, ha deciso di mettere a ferro e fuoco la cittadina. Dopo un viaggio estivo in Grecia, e dopo l’avventura di un ristorante aperto in mezza mattina, ha deciso che la strada del cibo sarebbe stata la sua e quella di sua moglie. Ristorante senza orari in tempi antesignani, cioccolato studiato per riportare la centralità della pralina e non della confezione, e una manifesta insofferenza verso il convenzionale. Così da autodidatta è arrivato dove è adesso. Al gelato. Senza corsi, senza libri e senza maestri. E la fiducia è un viaggio sul confine…

L’azoto nel gelato italiano è arrivato grazie ad una combinazione di eventi che hanno portato Davide Cassi, fisico della materia, e Corrado Sanelli, grande gelatiere di Salsomaggiore, a trovarsi insieme all’università a dare il via ad una sperimentazione che continua ancora oggi. Poi oltre oceano sono andati avanti, hanno aperto locali di gelati estemporanei, andando del tutto a sostituire l’azoto ai normali mantecatori. Qui no. Qui non si è mai abbandonata la lettera. Verticali, trittici, neutri e addensanti sono rimasti al loro posto con i loro tempi e gli altrettanti maestri. Ma l’ortodossia non è mai stata nelle corde di Marios, nonostante i religiosi natali, e così, approcciandosi al gelato, ha provato la strada dell’assenza più che quella della presenza. Ha preso una materia prima, l’ha bilanciata con acqua o latte/panna, destrosio, saccarosio e invertito, l’ha miscelata, pastorizzata e congelata attraverso l’azoto liquido. Et voilà. Ecco il gelato di Marios, l’unico gelatiere italiano ad aver messo il gelato all’azoto dentro tutti i pozzetti, lavorando su tempi e conservazione. E così, l’unica cosa che ti può fregare, al di là di una dolcezza assolutamente controllata, è l’origine degli elementi. Senza nulla, dissimulare una presenza è praticamente impossibile. E la stupefazione più grande, più che attraverso il gusto, arriva attraverso la percezione olfattiva. I suoi gelati hanno un profumo molto al di là del sapore. E così la frutta secca se la “cutterizza” lui, lasciando da parte finezze e ossidazioni, il limone ha un’asprezza primitiva e mai trovata, miele e rosmarino giocano su quel balsamico-dolce da amore a prima vista, la fragola e il ribes sono corroboranti e ancorché a volte il tutto risulti un filo freddo o un filo granuloso, la pulizia dei retrogusti, di quella lavanda stemperata con il latte, di quella mandorla che in lavorazione ha una punta di caramellizzazione, e di quella crema che con il pinolo si sposa semplicemente, mette subito da parte le mie ugge. Il gelato di Marios è veramente buono. Senza infingimenti o stupefazioni. L’azoto è e rimane il mezzo per arrivare ad un non-compromesso ma soprattutto più velocemente e rigorosamente all’origine del palato.

Tutto il resto è contesto, chiacchiera, comunicazione e la percezione che il cliente deve necessariamente avere nei confronti della novità. Arriveranno mantecatori più seri e un’estetica più raffinata, arriverà il tempo in cui non ci sarà bisogno di due planetarie per riempire un pozzetto e dove l’estemporaneità sarà sempre più il vezzo conservativo del cortile bergamasco. Già adesso siamo molto avanti e il problema non è il futuro ma la fuga. Chissà se Marios avrà voglia di rimanere, di farsi identificare e di farsi definire. Ai posteri la sentenza meno macabra…

 

AL D. MANGIAMI

VIA ZAMBONATE 51

BERGAMO

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *