Asti. Il Piemonte nelle sue città, nelle sue tradizioni, nei suoi allevamenti e nei suoi caffè. Le persone passeggiano, un sabato pomeriggio qualunque, come uscite da una cartolina di Renoir o da un boulevard di Digione. Se il tempo avesse la possibilità di fermarsi, prenderebbe Asti e la farebbe diventare il dove. Qui esiste un passato, una memoria collettiva, dei luoghi di ritrovo che assomigliano alla compagnia di paese, alla briscola al bar e alle diciannove sul sagrato della chiesa madre. La modernità appare quasi esclusivamente sulle creste dei ragazzini e sui tavolini modaioli dei ragazzi che guardano Milano come si guarda alla Mecca. Ma la venerazione è un verbo che si sussurra. Qui c’è l’orgoglio di un popolo e di una gastronomia. Qui la carne piemontese è la normalità e il palio dei rioni è l’attualizzazione della storia. Qui il caffè ha un nome e un cognome. Egidio Ponchione.
Quasi ottant’anni, una vita passata attraverso la vendita, il rapporto con la gente, la distribuzione e la rappresentanza del caffè altrui, l’idea, il mercato dei torrefattori (primo e insegnante del mestiere fu Giuseppe Giraudo, appena pensionato dalla Coinca, e pagato “a cottimo” con cena, per tostargli i chicchi il sabato…), la creazione del locale con il maestro caffettiere Piero Dezzani (un guru, nei suoi ricordi, uno che guardava il cielo prima di preparare il caffè… macinatura, acqua – ammorbidita rispetto a quella dell’acquedotto – e gestione delle macchine diventano una fede), la trasformazione in importatore diretto (senza passare dai grossisti), la scelta delle monorigini, il passaggio del sapere al figlio Alessandro (il torrefattore contemporaneo…), la pensione e la narrazione. Perchè la sua è una faccia da pomeriggio assonato e da tempo libero e perchè la sua è una voce da stringergli le corde vocali con l’affetto del nipote e dell’epigono…
La condivisione del caffè è un piacere che continua ad esprimersi nei racconti e nelle tazzine. Quelle che rimangono nascoste sono le sue miscele all’interno del magazzino. Nel laboratorio, due tostatrici: quella principale ha il gigantismo degli anni ’80, basse temperature, tostatura diretta del chicco, tempo, controllo nel mantenimento dell’aromaticità (quella che si perde nelle bruciature industriali che vanno a coprire i difetti di infime qualità…) e raffreddamento.
Le monorigini deliziano (Nepal Monte Everest Supreme, Jamaica Blue Mountain, Hawaii Captain Cook Extra Fancy, Portorico Fino Yauco Selecto, Etiopia Harrar ecc..) ma soprattutto stupiscono. Tuttavia, il luogo dove Egidio e Alessandro si sentono più a casa è nell’alchimia delle miscele: su tutte, l’extra bar (il caffè che si dipana in tutta la giornata…), ricavato da un’ensemble, aromatico, un filo didattico ed esplicativo, di dodici varietà pregiate. Arabica e mai robusta, perchè le scelte molte volte irrazionalizzano e non vanno spiegate. C’è un passato, un cuore e una storia…
Jamaica Blue Mountain: la sublimazione del caffè nella lavorazione più complessa, quella espressa (che tende a strappare…), che regala aromi e profumi meravigliosi, ma solitamente è mancante nel ridare il corpo e la forza. Nulla. La lavorazione regala la punta acida, la poca cremosità, il tabacco, il brodo finale ma soprattutto un retrogusto elegante che non rovineresti mai, che lasceresti lì per un pomeriggio intero o, almeno, finchè ce n’è… invece Egidio ha un’esigenza, l’assaggio e una predilezione per l’assenso. Quindi si va di ExtraBar…
Miscela (e qui arriva la fantasia del torrefattore): sulle cru puoi solo sbagliare, bisogna saperle ascoltare e cogliere la direzione… il resto è caffè; sulle miscele, fuoriesce la maestria, quella che c’è o quella che si nasconde dietro la qualità… esce il lavoro e il suo divertimento. Qui ce ne sono dodici che ruotano come ad abbracciare il suo orgoglio: segreto. Mistica per un caffè da prima colazione, da dopo pasto e da prima di cena. Buono, forse ottimo: un mezzo, una compagnia, qualcosa che precede o che anticipa qualcos’altro… per la solitudine bisogna tornare in Nepal…
… caffè da meditazione nella sua semplicità. L’unico coltivato a nord del Tropico del Cancro. Note floreali e un pizzico di zenzero… in moka e in presso-filtro, da passarci ore…
Tutto il resto fa parte di un’immagine, quasi impolverata, da cartolina paesaggistico-esotica degli anni ’80 o da soffitta adagiata su una congerie di ricordi. Caramelle, cioccolati, praline, creme, vini, c’è di tutto manco fossimo ad una fiera. Dietro c’è la scelta e la determinazione di un passato e di una sicurezza. Rivedibile o certa? A me interessa poco… i punti fermi rimangono il caffè, con quelle tazzine avvenieristiche a contenerlo, e la forza di una parola genuina e simbiotica… quella che fa rimanere lì ad ascoltare un’altra epoca, senza la brama di ritornare…
PONCHIONE CAFFE’
CORSO ALFIERI, 149
ASTI (AT)