Le Tome della Valchiusella: lasciti e futuro… Matteo Villa

Frazione Gauna nel comune di Alice Superiore. In mezzo alla Valchiusella. Partire da Ivrea, un quarto d’ora di macchina, e trovarsi in un nulla plumbeo quasi angosciante. La vallata si sviluppa attraverso alberi senza foglie, qualche abete e fitti boschi che vanno, lentamente, ad incunearsi, dopo Traversella, in un imbuto angusto fin su verso la bassa Valle d’Aosta. Qui, il turismo si è dimenticato di cementificare e di ricercare seconde case, portandosi dietro la possibilità di marketing e di fottere il prossimo. In assenza d’insegnamenti, i malgari sono rimasti tali, senza conoscere velleità e opportunismo. Il verde è ancora testuale, le case, così come le botteghe, le fontanelle e le stutture pubbliche (capita di trovare carabinieri, comune, tabacchi e poste tutti nello stesso palazzo…) appaiono come indicatori di senso e di vita. Altrimenti, ci se ne dimenticherebbe. La natura è pura, quasi selvaggia, tremenda, incerta, quasi ansiosa. È un contatto di sincerità.

All’interno di un piccolo cortile sulla destra, in una classica casa montana, intonaco rustico e persiane marroni, famiglia patriarcale, lavoro, cantine e vendita, si mostrano le Tome di Villa. Un nome che non persiste nella ricerca di una declinazione da dare. È tutto troppo semplice, così immediato da non abbisognare di spiegazione e di domande sull’origine.

Matteo Villa, ora quasi ventiseienne, a diciannove anni ha dovuto compiere la più terribile delle scelte. Abbandonare per proseguire un percorso non suo. Suo padre Massimo, affinatore o “allevatore” di tome, l’ha lasciato troppo presto, in mezzo a quell’università che lo avrebbe formato. Agraria come maniera di fuga o come sintesi hegeliana? La sua idea era quella, comunque, di rientrare, di tornare, con quella perizia tecnica e razionale appresa e non vissuta. Ma la passionalità tout court l’ha chiamato indietro e messo sul ponte di comando.

Il problema maggiore, al di là di un’intimità vessata?

Il rapporto coi produttori. Matteo, non conoscendo possibilità, tempi e modi dello stagionatore, si è trovato a dover gestire tutta la produzione di quei casari/malgari/allevatori di Valchiusella, Valle dell’Orco e Val Soana che, alla fine dell’estate, erano abituati ad un unico affinatore per un anno di formaggi.

Matteo, ma credo sia un retaggio famigliare, ha imparato a riconoscere gli alpeggi e i malgari, gli ha ridato fiducia e ha ricominciato a comprare tutte le tome. Errori compresi. Si è limitato a tre valli, più un piccolo produttore di formaggi di pecora del pinerolese, e ha continuato a chiamare i formaggi con i nomi dei produttori. Quelli che (ancorchè non ami questa fase definitoria da parte di affinatori e stagionatori… appare quasi sempre una sicumera mista a premura troppo legata a lune, stati d’animo e capacità di comunicare…), pur facendo straordinarie tome, non sono in grado né di stagionare né di vendere. Un po’ di biasimo e un po’ di pudicizia. Ma stavolta evito di aggredire. Forse, ed è una speranza, l’assenza del turista milanese li ha privati, veramente, del modus operandi dei venditori di assicurazione e delle magliette griffate.

Fulvio, Olga, Vittorio, Bianco, Delfina, Beppe, Dario, Giovanni e Davide. Ognuno con i propri ristoratori e ciascuno secondo peculiari forme, tempi e modi.

Si va dal latte brusco (o bruisc o acido… insomma qualcosa di simile al Castlemagno, ma non cercato… con la cagliata della sera inacidita…), con pasta friabile e media stagionatura (sui sei mesi), dolce e granuloso, alle tome che diventano sole e ritornano tome, con croste proteolizzate, pasta mantecata e bianco candido o con pasta dura, erborinature spontanee e casuali, retrogusti umidi, infiltrazioni di acari e netto sapore di erbe (o forse anche di “stelle alpine” cit…), dalle invernali di casera con retrogusti di fieno e stabilità al palato, fino al al Civrin, armonico e floreale, e alla Toma ‘d Trausela, grande rimpianto. Croste rugose e impatti decisi, sempre mutevoli, sia nel colore che nella crosta che nei sapori. Non esiste un’uniformità, una sicurezza, qualcosa di rintracciabile o di ritrovabile… Quello che resta è solo un caparbio rapporto con i produttori, con il loro mondo e con i loro problemi… la sincerità mi è parsa provata, in barba a quegli affinatori di oggidì impegnati a ricreare l’alpeggio in caseificio…

Matteo non millanta conoscenza, lascia cadere le domande se troppo in là, mantiene la barba al di là delle critiche e una deferenza verso un mondo che non è ancora suo. “Se vuoi i malgari, devi imparare il rispetto”. Epitaffio non suo da mettere in calce alla descrizione di un incontro. Pulito e ingenuo…

 

LE TOME DI VILLA

VIA UMBERTO I 3 – FRAZ. GAUNA

ALICE SUPERIORE (TO)

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