Le vie del grano e l’aridità del pomodoro… Francesco Di Gèsu

Tra Marianopoli e Villalba. Tra la provincia di Caltanissetta e la provincia di Palermo. In quelle discese senza scampo e senza un approdo turistico. Le cicale tornano a spadroneggiare all’interno di una valle solcata dal fiume Bilici e dalla ferrovia per il lontano ovest, coi suoi miraggi di zolfatare ormai scomparse, con le sue ginestre, espressione massima di una mortalità fiorita, con le sue mandorle e le sue mandorle amare, così poco corrive all’astuzia umana della raccolta, ma soprattutto con quei colori che del giallo hanno in mano la definizione estrema: grano, paglia e ancora grano. Una Sicilia da amare senza condizioni e senza repressioni. In mezzo a quella natura troppo scura e troppo calda per un’accoglienza patinata e sintetica, un baglio appare come una mitologica oasi. Di una bellezza conturbante, impressionista nelle aperture tra cielo e pietrame.

Qui la famiglia Di Gèsu continua da decenni la sua apolide ricerca dell’antico. Francesco ha una scorza eremitica da stravaganza straniera. Lontano dal paese e dagli sguardi, quando ha preso in mano, insieme a suo fratello Alessandro, le redini dell’azienda, una decina di anni fa, trasformandola in biologico, le voci sono diventate bizzarre provocazioni di una paradossalità epica… “queste cose lasciale fare a quelli del terzo mondo”… che hanno trasformato ogni altra aggiunta in qualcosa di superfluo.

Russello, Tumminia, Bidì, Perciasacchi e Vallelunga. Ogni grano la sua storia, la sua leggenda e la sua antichità trasformata in contemporaneità. Dalla ricerca sul kamut, fatto analizzare, sotto l’input del padre che non poteva sbagliarsi su quel chicco di cereale, si è ritrovato tra le mani un farro antico, forse il più antico, che in Sicilia aveva una sua origine e una sua tradizione millenaria. Il kamut certificato dai cowboys in Montana era il Perciasacchi. Il Dna non aveva mentito.

Così, anche il Vallelunga, grano duro tipico di quelle lande, attraverso analisi scientifiche e voci di paese, è ritornato a campeggiare tra terreni consapevoli.

Molitura a pietra di Filippo Drago, mugnaio contemporaneo se ce n’è uno, a Castelvetrano, e pastificazione della semola integrale e semi-integrale (se esiste un “miglior fabbro” per un miglior prodotto, la direzione è quella dell’essiccatore e del trafilatore). In un agriturismo concreto e senza beffe nella sua personalità, che abbandona l’affettazione al caldo, non ho trovato, eccezion fatta per un formaggio di pecora assolutamente prescindibile, un prodotto non prodotto.

Pomodoro siccagno della Valle del Bilici. Ecco un buon perno attorno a cui far ruotare tutto. Senza irrigazione: istanza di principio. Ci sono estati torride e antiche varietà di pomodoro che maturano naturalmente nella terra secca. I filari più produttivi sono stati abbandonati dai fratelli Di Gèsu per peculiarità territoriali. Il pomodoro siccagno è la Sicilia. Valledolmo, a pochi kilometri sconfinando nella provincia di Palermo, ha creato la sua mitologia sulla coltivazione di questa pianta. Francesco, però, è l’unico, almeno per il momento, che, all’assenza d’irrigazione, ha associato la semente locale del pizzutello e la lavorazione in biologico, creando, all’interno di un’area non particolarmente delimitata da costruzioni, un unicum siciliano.

Passata, astrattu, pomodoro secco: la valorizzazione è già una lavorazione, una conservazione e una possibilità di assaggio tutti i mesi dell’anno. La tripla concentrazione dell’estratto (astrattu), l’ammorbidimento straordinario donato dall’olio di Rizza (l’ennesima varietà locale recuperata da Francesco e rimessa in produzione…) al pomodoro secco, dal gusto e dalla masticazione profondissimi e la bevibilità, manco fosse un succo, della passata che, nell’assenza di sale, è dolce e irriguardosa: tutto questo è Pomodoro.

La ricerca è continuata con la Lenticchia di Villalba, una produzione locale, per anni accantonata, forse per la grandezza del seme (che comportava dei tempi più dilatati) o forse per la scarsa produttività, con un cece nero, con un vino di nero d’Avola, estremamente acido nella sua assenza di solfiti, con le mandorle Tuono, con la cicerchia e con la sorprendente spugna di luffa: l’interno essiccato di una zucchina, fibrosa e assolutamente adattabile all’esfoliazione e all’acqua. Alessandro, nella perfezione di un dono, aveva lo sguardo urbano della normalità. Di una dolcezza oscura…

Queste sono storie di una Sicilia che non esiste, talmente diversa da non poter essere se non nell’eccezione. Ma non credo che la regola sia la necessità di un posto del genere. E non credo che nemmeno i compaesani, nella loro incomprensione, possano reggere un paradigma così distante dalla contemporaneità. Eppure Francesco mastica placido la sua convinzione. Allure da guru, parlata lenta e aspetto saputo ingannano. La fragilità appare e scompare, la gentilezza rimane sempre, anche con quel pizzico di relazioni paesane che non possono fare a meno di legare. Così il dialogo non diventa mai un monologo e le orecchie sono aperte alla critica e al complimento. Per tutto il resto, c’è quella finestra aperta sulla valle del Bilici che strappa il fiato a qualunque domanda e a qualunque ascolto, pacificando la storia di una Sicilia infinita…

 

FATTORIA DI GESU

CONTRADA BELICI

VILLALBA (CL)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *