Borgata Podio (Puy in Occitano), San Damiano Macra. Se uno sapesse realmente di trovarsi dove si trova, si spaventerebbe al punto da lasciarsi sopraffare dal buio e dal silenzio. Perchè di questo trattasi.
Una strada che lascia Dronero, i suoi alberi di kiwi, i suoi ponti, le sue macellerie e i suoi frutti di bosco e che si inerpica per la Val Maira, una di quelle che portano verso la Francia, una di quelle dove si parla occitano e dove non c’è quell’immagine condivisa per argomentare durante una cena. Troppo lontano da quello scibile calpestato e molesto che impegna e non lascia.
La salita verso Lo Puy, fatta due volte, a distanza di un mese, è priva del fascino pacchiano e ha qualcosa dell’assenza di solidarietà miscelata ad ansia. È un bosco, una strada dissestata, una vista a tratti apatica e una serie di curve che non si sa né se portino, né se abbiano una fine. E così mi trovo, senza attesa, gettato in un ammasso di pietre, case abbandonate e assoluta desolazione, quasi ascetica. Le voci hanno un’eco ma non una risposta. Il giro perlustrativo mi richiama a qualcosa di conosciuto. C’è del fumo che esce dal camino e finalmente sentiamo dei passi che si accingono verso una porta. Il borgo, una decina di case, di cui più della metà abbandonate, ha un’anima, un’interprete e un nome: Marta.
Racconta, gestisce, educa e vende. Suo marito Giorgio è silenzioso (ancorchè il suo silenzio abbia un limite… non so di quale fiducia abbia bisogno, ma quando si apre è una narrazione… sarà il suo rapporto filosofico con la letteratura russa, magari non quella di Gogol, ma quella di Nabokov, ad averlo interiorizzato come fosse un entomologo del formaggio di capra e un centellinatore di parole…), quasi un’ombra. Affetta il formaggio, guarda i figli (sono cinque, dispersi tra musica, libri, gite e pastorizia) e passeggia, mettendo a posto scaffalature o tavoli. La parola è un suppellettile di cui può chiaramente fare a meno. Marta ha una tenuta più radical chic, anche nella comunicazione. È più mondana e, probabilmente, in quanto medico (se non ho capito male, il suo sogno era quello del medico condotto nel paesino di vallata… un dottor Akagi in lingua d’oc e sandalo birkenstock), ha il desiderio della relazione. Chiacchiera, oltre a parlare.
Bellissima struttura agrituristica (La Chabrochanto), legno, pietra, una stalla in apertura verso i boschi, delle cantine caratteristiche e quel sentore di già visto…
… “Il vento fa il suo giro”, film di Giorgio Diritti di qualche anno fa. I posti, le situazioni, la storia, finanche il mestiere mi tornano in mente. Chiedo. Ed effettivamente il gregge di capre Saanen utilizzato per le riprese era il loro. Marta e Giorgio hanno tenuto, un paio di settimane, parte della troupe a magione per insegnargli qualcosa del mestiere di capraio. L’ambientazione era, in tutto e per tutto, similare. La lingua pure… solo qualche kilometro oltre… Il retaggio non crea né troppa confidenza né troppa nettezza… si continua sul piano dell’azione, rinvigorita dall’assaggio del lavoro…
Dogma fuori discussione: latte crudo. L’identità è qualcosa che pascola subito agli occhi. Diverso, fuori dalle regole, sia nell’acidità che nella dolcezza. Chiaramente differente da un solido caprino da distribuzione fermentativa, ma diverso anche dai gioielli occitani o frisiani o boscassiani. Forse anche più semplice e più breve, sicuramente stupefacente. Cagliata acida (con un paio di eccezioni). Siero innesto prodotto in azienda, qualche muffa cercata e bioreazione all’apatia. Dal fresco Chabri, acidulo e bianco purezza, alla ricotta, che ha in sé qualcosa di unico, di neutro e di profondamente floreale, dal Sanmaurì, il loro modo di dedicarsi alla presamica, stagionata, pasta morbida ed elastica, giallo paglierino, crosta fiorita, intensissimo nel retrogusto, al Genepì, lavorato con la pianta omonima, pasta giallo Chartreuse tendente al verde e sapore di fine pasto, dalla robiola lattica con quel gusto di pepe non ottundente fiorito di blu, al Quersonh, meno classico delle solite piramidi, ma il più classico nell’aroma lattico di caprino stagionato, dal Serpuy lavorato col timo, al Charbonet lavorato con la cenere vegetale, dal D’Oc, il principio del Gourmet, l’inter-dizione per me, al “loro” castelmagno di capra (Chabrobleu), fino al gioiello del Panet, uno dei più straordinari formaggi mai assaggiati: la forma ricorda una pagnotta con una doppia pasta (invenzione di Giorgio) composta a mano… nella lunga stagionatura, sia nella masticazione, sia nei sapori rilascia un piacere incommensurabile di mangiare il formaggio. È lì nell’empireo. Fuori categoria.
Marta e Giorgio sono due fuoriclasse nella produzione e nell’evocazione (Lara, la loro collaboratrice e ceramista, non l’ho mai conosciuta…), peccano un filo nell’empatia, ma non sempre i focolari nascono per essere condivisi…
AZIENDA AGRITURISTICA LO PUY
BORGATA PODIO
SAN DAMIANO MACRA (CN)
Più che un commento (come si fa a commentare un mondo che appena appena si è sfiorato? va assaporato nei suoi profumi, osservato nelle sue luci e nei suoi colori, ascoltato nei suoi silenzi)…più che un commento mi piace dire come sono arrivato a voi…Ero a Torino per una personale di pittura. Avevo la giornata “libera” fino all’ora della inaugurazione per vagare senza meta tra le sue strade e mi sono imbattuto nel gran bel negozio Baudracco. Pareva la vetrina di un orefice o una galleria di opere d’arte quasi minimaliste; meglio, cento volte meglio di tante gallerie. Luci ben dosate, disposizione equilibratissima delle opere presentate. (sono molto attento a questi dettagli, il disordine mi fa stare male–come dire che sto quasi sempre male)..e quindi sono entrato. Mi ha accolto un’atmosfera familiare; gentilezza mista a disponibilità al dialogo. Insomma, a farla breve, ho trascorso una buona mezzora a conversare sui formaggi, sulle loro caratteristiche, su i tanti produttori ed in particolar modo su di voi, sulla serietà vostro lavoro, sulle vostre capre ecc ecc. Tant’è che quasi mi era preso il desiderio di abbandonare la confusione della città e venirvi a trovare…ma avevo degli impegni da rispettare. Poi la scelta dei formaggi da portare a Livorno: mi son lasciato guidare chiedendo solo sapori decisi…L’esperto mi ha consigliato due vostri caprini, uno addirittura è andato a prenderlo in una cella frigo che pareva una cassaforte…Infine mi ha consegnato il vostro biglietto da visita e adesso che sono tornato a Livorno e mia nipote Elisabetta di due anni ha apprezzato divorandone una fettina quasi in un sol boccone, ho dedicato un po’ di tempo a visitare il vostro sito…COMPLIMENTI…C’è qualcosa di bello ancora in ITALIA…Renzo