L’altra Albenga è un luogo meno fugace, con del tempo da spendere e un’attrazione verso il mare che lascia tranquillamente da parte le spiagge. Qui si coltiva di tutto, tra serre e campi aperti, il verde è una sublimazione di un lavoro che nel colore trova la sua soddisfazione più grande. Basilico, aneto, pale di fico d’india inattese, cespugli di erbe officinali, olivi, asparagi, carciofi, zucchine e fave, in mezzo ad un susseguirsi di fiori e di recisioni, di principi di vendite, di orchidee al caldo e di quel sistema di cura che tradisce se non spiegato. E così ci pensa Paolino, il cui sorriso si apre a meraviglia appena messa a tema la parola fiore, che ruota vorticosamente tra le sue serre alla ricerca della sorpresa, dell’improbabile e del commestibile. Crescioni, lemon grass, nasturzi e margherite, la riviera, nella sua anticamera prima delle fosche valli che inumidiscono turgori e voluttà, si apre nell’impossibilità di rimanere soli. Un ligure deve tradurre in ligure un ligure per far sì che il forestiero trovi una dimora che si fermi prima di quel luogo comune che appiattisce il senso. Luoghi come questi diventano prodigiosi grazie alle persone che hanno ancora voglia di raccontarli, prevenendoli dalla vendita. Agostino Sommariva è una di queste persone.
Il suo frantoio rimane abbarbicato alle mura del centro storico, in un palazzo che è già una comunicazione. Le mulazze delle vecchie moliture sono ancora lì, pronte ad un uso che è più di un folclore. Agostino è diventato un agricolo, ha portato avanti, insieme ai fratelli, il lavoro atavico di una terra sul limitare taggiasco. È stato campione mondiale di vela, ha girato il globo, ha vissuto il mare come un fine e non ha mai abbandonato quella patria terrena da cui provare nostalgia e desiderio. E così il suo elemento naturale si è sdoppiato e ha traguardato oltre, attraverso un passato/presente di notorietà in bianco e nero e verso un futuro che necessitava di una comunicazione concreta, di qualcosa che andasse oltre il meritorio olio di olive taggiasche, ripetuto come un mantra dalle borghesie industriali che hanno creato i supermercati per poter poi rifuggire nelle nicchie.
Una trentina di ettari di oliveto, un piccolo vigneto, serre per il basilico genovese che dimentica il mentolato e attraverso l’etanolo può esprimere la sua evidenza molecolare che è già Pesto, qualche erba officinale, vari magazzini, un frantoio Alfa Lavel di piccole dimensioni con cui si è sottratto alla schiavitù del contoterzismo e attraverso cui lavora solo il suo olio, un denocciolatore per qualche perversione, l’azoto contro l’ossigeno, raccolta pre invaiatura di Taggiasca, Frantoio, Pignola e Colombaia, laboratorio di trasformazione per mettere in vasetto parte delle sue terre e un antico frantoio attraverso cui lavorare per sottrazione su una comunicazione fatta di percorsi, di didattica e di pura e semplice atmosfera.
Il suo Cru Maina è un compromesso esaltante, Taggiasca in purezza, bell’amaro, media piccantezza, polifenoli contenuti, colore abbacinante, leggerezza, frutta in bocca e verde al naso. Un olio fatto bene e accessibile, di una qualità rara anche a queste latitudini. I blend sono raffinati e profumati, da passeggio, verdi e vellutati. Senza incuria, come il lavoro che i Sommariva portano avanti da un secolo, con macine del 1700 e l’idioma dell’ospitalità sempre tramandato e mai tradotto.
La Taggiasca si confonde con il Leccino e così i furbetti sempre presenti, quelli che comprano ma anche quelli che frangono, lo sostituiscono denocciolato nelle olive da mensa, spacciando sempre più di quanto la terra dovrebbe dare. Provate a togliere un nocciolo ad una Taggiasca! Fatelo in serie! Piccole produzioni, forse… il resto sofisticazione…
Così Agostino mantiene il nocciolo e prova ad uscire attraverso una trasformazione sempre ben fatta. Ossidazioni a posto, pastorizzazioni anche, vegetali ben lavorati e una crema d’acciughe assolutamente imprescindibile. Creare un contesto al di là dell’olio, è quello che gli ha permesso di porsi dalla parte del desiderio, di andare incontro ad un cliente libidinoso, che ha bisogno ancora delle coccola e delle quattro chiacchiere, a cui non bastan più le monocultivar e il bicchierino da degustazione, ma al cui palato bisogna arrivare con il piacevole, con la distrazione.
E per questo ci sono le creme di olive, i pesti di basilico, freschi e pastorizzati, i pesti di aglio, di aneto, vegani e di pomodori. Tutti biologici, come le sue coltivazioni, come il suo olio e come il suo vino. Che rimane sotto traccia per chiara volontà e che non funge da fine ma sempre da mezzo per arrivare ad un assaggio che non è palato ma accoglienza, languore e voglia di rimanere lì, in mezzo alla piazza, tra quelle strade in cui Agostino saluta tutti per nome, in quella provincia scalfita ma in piedi che abbisogna ancora di riti e di miti, di confidenti e di ammiratori. Che non può mai nascondere il suo essere Riviera ed Estetica. Agostino e sua moglie Anna sono quel luogo più di qualunque tradizione. Incarnano il necessario. Ecco tutto…
SOMMARIVA TRADIZIONE AGRICOLA
VIA MAMELI 7
ALBENGA (SV)