Macellai senza razza… Diego Liberini

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Rezzato. Punto di snodo tra la città, la Valle Sabbia e quelle destinazioni trentine che portano molto oltre il Lago d’Idro. La montagna è lontana tanto quanto il fascino. Rimane un po’ di collina, qualche vigneto e la Valverde che mostra più il suo nome che le sue grazie. Gli allevatori hanno stabulato le proprie bestie sotto tanta paglia e troppi tetti. Le stalle si alternano ma non si vedono. Si sente ancora un po’ di puzza delle pianure. Le cascine rimangono disattese così come i corsi d’acqua. Le rotonde hanno deciso di tagliare l’intagliabile, rimandando indietro un’immagine di coesione tra grigi. Gli occhi che guardano la strada sono le strade che non sono più né allusione né traccia.

La voglia di partire è stata bloccata dai bambini al pascolo, dalle madri sulle altalene, da quel bisogno di sicurezza concretizzata con pensionati-attraversatori-di-strisce-pedonali e occhi inanimati di ipocriti attoriali che recitano il luogo dell’abitatore dell’hinterland. Fresco come una rosa perché libero dagli umori cittadini, dal suo sangue e dal suo smog. Così, la ricerca della casa bassa, del condominio con la piscina, del parcheggio comodo e della brezza del Garda che spira nelle sere d’estate con il balcone allargato, le gonne a fiori sbiadite e i vicini di casa che hanno aspettato il marito che riuscisse a scravattarsi dalle paturnie dell’aria condizionata, ha reso tutto molto, troppo sudato. Forse anche per me e per la mia lucidità.

Ora di pranzo, effetto fata morgana e una macelleria come obiettivo. Il post-moderno da omicidio pre-prandiale è tutto in poche e interminabili inquadrature sulla provincia bresciana, un po’ Kitano e un po’ Nino D’Angelo. Ma ecco la Macelleria Liberini, quella che, causa omonimia, potrebbe anche non esserci o essere un’altra…

Diego e Danilo sono due fratelli che arrivano da una famiglia allargata di macellai che ha diviso tanti negozi per tanti cugini. Loro si sono uniti e hanno provato a dare risalto al territorio. Diego è il macellaio e l’uomo d’ordine. Ha guardato e continua a guardare alla Francia come all’idealità dell’allevamento. Così, niente razze nostrane, niente culi e gambe esili, niente eccessi, ma la più classica delle Limousine. Tra la Valverde e la pianura di Castenedolo, i suoi allevatori gli danno la bestia viva, dopo un finissaggio in stalla e un’alimentazione curata fin nei minimi particolari. Bilanciamento tra fieno e proteine, niente insilati e poco altro. Il voilà finale è il macello privato.

Una di quelle rarità da fatture fuori da qualunque logica. Pochi allevatori privati e una dedizione totale per le sue bestie. Niente mezzene o posteriori (tranne nei periodi estivi dove la richiesta ha una rapsodia agostiana…) ma bestie vive. La frollatura segue la macellazione. Niente sottovuoto e niente estremismi. Trenta-quaranta giorni per le barbine. Tra fibre e collagene, la carne diventa un sapore. Sì, perché qui, non ci sono scottone, fassone, manzette, c’è la barbina: quel nome che, da Rovato a Rezzato, è indice di una localizzazione e di un’identità.

La carne incontra perfettamente il gusto della clientela contemporanea, senza sbavature e con emozioni contenute. L’esaltazione della marezzatura nella costata è l’ingerenza dell’origine, bistecche e salsicce hanno un equilibrio grasso-polpa invidiabile. Diego ha una dote in più rispetto all’ortodossia: ha un gusto. Viaggia abbastanza e assaggia. Partecipa come giurato alle degustazioni di salami, si confronta con chef ma soprattutto riesce a mantenere divisi ambienti come il sapido, il salato, l’acido e l’umido. Il suo salame ha bisogno di più stagionatura e meno interesse, la sua bresaola di sottofesa, che l’eponimia paesana, fa chiamare Rezzaola, è eccezionale: ha tutto, poca cantinatura, molto grasso, pulitissima in bocca, masticabile ma senza suola. L’ossidazione rimane impalbabile, la speziatura è raffinata ma senza proscenio e il gusto finale, oltre ad essere pieno, è uno dei più sbalorditivi che si possano trovare in giro. Al netto degli zebù argentini che in questi pascoli non sono riusciti a tipicizzare.

I fratelli Liberini continuano la tradizione dei macellai di bottega. Di quei posti, dove entri e la spesa non è una decisione ma una fiducia. Diego ha un entusiasmo da lascito culturale. L’improvvisazione è di altri luoghi e di altri lidi. Qui dentro è ancora permesso il lavoro del macellaio, quello che non vuole mai perdere di vista la propria bestia. Né da viva né da morta. E così, a Diego non rimane che aspettare la decadenza altrui per portarsi via tutto… fascinazione, territorio e qualità. In una bottega senza razza, senza leggende, senza prosopopea ma con riguardo…

 

MACELLERIA LIBERINI

VIA IV NOVEMBRE 38

REZZATO (BS)

 

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