Monastero della Badia di Alcamo: bocconcini con la confettura di zucca serpente…

Alcamo è sempre più un luogo cardine di una Sicilia che interessa solo agli agiografi e alle persone che nella reticenza hanno trovato il tempo quotidiano. Nascosta davanti ad una natura irlandese e primaverile, tra rocce, pecore e un vigore che è molto oltre l’immaginazione, l’aprile siciliano è un tornante, un girovagare ed un sentir l’eco. I vigneti cavati, le strade con le buche, i muretti a secco, i ravveduti nascondigli, il mare ancora incellofanato e la sabbia principesca sono dettagli che con il concentrarsi delle stagioni e dei diletti, intenerendosi in un’intimità pudica, si perdono, per lasciare spazio al disordine. E così anche l’Alcamo sonnacchiosa, dove gli artigiani gloriosi possono ancora fregiarsi di un territorio unico al mondo, si rimettono alla vendita come ultima forma di processione. Si saluta il santo, si fanno gli inchini e poi via verso un nuovo letargo. Fermare il tempo di questa Sicilia diventa un principio di pensione. E così, per sprofondare ancora meglio nella virtù, mi rimetto agli sguardi di due monache di clausura…

Due delle sei presenti, ormai i nuovi ingressi sono ridotti all’osso, un parlatorio che divide e un urbanesimo di fondo che nell’assoluto ha i suoi punti di dolore e quelli di rapimento. Perché, al di là degli occhi, della verità, della realizzazione di una vocazione, che sono tutte presenti nell’assenza di dimostrazioni, perché sottratte alla logica, anche con le parole sono in un al di là di significato, difficile da cogliere con semplicità e gesti quotidiani: “Sapete, voi siete sposati e l’amore per l’altro è di normale comprensione, ma anche noi siamo innamorate, siamo innamorate di Gesù, di una persona che è vissuta duemila anni fa, questo è più difficile da comprendere”. Oltre il concetto di fede, si va verso quella “seconda potenza” per cui serve un un ulteriore atto per andare al di là della storicità e della dimostrazione. Quindi il discrimine, tra la vocazione e la costrizione delle novizie, non sta necessariamente nel piacere del cibo. Ho nuovamente capito che capire non è più una necessità. E poi ci sono i dolci e la mia sorpresa…

Quella volta a Montechiaro, al di là del fascino, avevo mangiato aromi e zucchero, questa volta, passando per un orto, per il “fatto in casa”, per le pentole e per la pazienza, ho trovato dei dolci buoni. Il bocconcino di pasta di mandorle ripieno di confettura di zucchina lunga (o serpente) palermitana è straordinario. Un ripieno, che risiedeva anche nella Maria Stuarda, e ormai sostituito da zuccate industriali, che riprende il territorio, la tradizione, l’unicità, la morbidezza, i dolci monacali, il passato, quella prima forma di femminismo per cui l’unica maniera di libertà, all’interno della costrizione delle figlie cadette, ha risieduto per secoli nell’estetica e nel dolce come relazione e sovversione. Le prime pasticcerie moderne sono state i conventi e queste sei sorelle sono la più bella delle parole che hanno solo connotazione. Arrivano i mustaccioli fatti ancora con il vin cotto e le spezie, il pane di san Giuseppe, dei buccellati e i savoiardi. Tutti puliti, semplici, colti e intimi. Attraverso i dolci si riscostruisce la Sicilia, se ne parla, la si rivaluta e si prova a capirla. In quel silenzio comandato, in quelle feste apotropaiche, in quella necessità di condividere tutto fino all’ultimo boccone… che lascia lì, nello stupore… come me davanti all’irrazionale di una serenità quasi magica…

MONASTERO DELLE BENEDETTINE SAN FRANCESCO DI PAOLA BADIA NUOVA

VIA COMMENDATORE NAVARRA 17

ALCAMO (TP)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *