Chiaramonte Gulfi è il suo olio e la sua cultivar. Qui tutto è indissolubile, non ci sono privazioni, ci sono solo sofisticazioni da mercato della sansa. Oltre mille produttori di olio, più di dieci tra frantoi e oleifici. Ci sono molti più ulivi che persone. Qui l’olio è un business, un retaggio del passato, la prospettiva di un lavoro, il mantenimento di una posizione, una vendita da pietra in bella vista, un’intrusione turistica, un autunno senza pietà, lavoratori stagionali, una sussistenza al di là di tutto, ma soprattutto molte (o troppe) olive magnificate e arrivate con camion dalla Valle del Belice.
La famiglia Presti-Gulino ha cominciato a macinare olive nel 1880. Sono passate generazioni di cognomi e volti, arrivando alla contemporaneità di due nipoti e un nonno che portano avanti un frantoio, un’azienda agricola e un impianto di produzione che della modernità mostra tutte le effigie. Una trentina di ettari in proprio, acquisto di Tonda Iblea da agricoltori locali e conto-terzismo per appuntamento. Lavorazione entro le dodici ore dalla raccolta, defogliazione e lavaggio, molitura e trasformazione della pasta. Lenti giri e nessun surriscaldamento, la pasta finisce nelle gramole dove viene rimescolata. Controllo ossessivo dell’ossidazione e della dispersione. L’olio ha un aroma e ha un colore. Centrifuga orizzontale e separazione dell’acqua dall’olio. Elettronica all’avanguardia e trasformazione di un olio straordinario. Erbesso (antico nome pre-ellenistico di Chiaramonte Gulfi): profumo, fuori da qualunque logica, di pomodoro verde. È veramente tutto lì, il prezzo, il colore, la lavorazione, l’idiosincrasia al mercato locale, l’avvenenza di quello estero, la bottiglia, la piccantezza polifenolica della Tonda Iblea in purezza, i retrogusti di carciofo, la resa inferiore all’8%, la bassissima acidità, la molitura molto prima dell’inizio dell’invaiatura. Tutto ritorna a quel naso. Quasi impossibile dopo un anno dall’imbottigliamento. Un olio senza compromessi.
Eugenio si occupa dell’azienda agricola, studia e rimane decentrato rispetto ad una comunicazione che rimane solo nella gentilezza. Antonello, laureato in economia a Catania, non ha mai lasciato veramente l’azienda. Il ritorno non è mai stato da abbandono. L’olio ma soprattutto l’innovazione che ancora l’olio può apportare sono sempre stati un punto fermo della sua realizzazione. Estetica e qualità. Null’altro in quelle macchine che lavorano senza sosta, prendendo parte delle mani, creando automatismo e rendendo indietro la necessità umana del naso e dell’assaggio. La produzione ha dei mezzi e dei fini, ha un desiderio che non può essere disatteso. Tutte le olive che arrivano al frantoio vengono passate al vaglio di un’analisi che non può prescindere da quell’idea di prodotto. Che deve resistere, che deve essere serbevole, che deve avere un prezzo molto al di là del reale valore. Terra agra e pance grasse. Questa Sicilia è limitata al sudore da levarsi dai baffi, al lavoro dei raccoglitori a mano, ad imprenditori che hanno visto nel prodotto tipico l’ultima delle comunicazioni. Così qui, in questa enclave gastronomica, dove si cerca di magnificare l’olio e dove si porta il fruitore ad una concessione di modernità in mezzo ai muretti a secco, Antonello e Eugenio hanno provato a concedersi dei vezzi. A creare vinaigrette bilanciate, saponi antichi dove l’olio d’oliva era l’unguento per eccellenza, oli aromatizzati e qualche conserva che possa immergere il territorio in un’idea aziendale molto oltre l’accoglienza.
Il caldo afoso, quelle strade dove le cicale hanno smesso la loro poesia, quei vicoli sbagliati da navigatori perduti, quei frantoi che appaiono in una retrogradazione che nemmeno le presse al sole, quei frantoi che del bianco e del vetro hanno seguito pedissequamente la modernità, quell’uva da tavola coperta con reti e film di plastica che al romanticismo ha preferito l’anticipo fanno di Chiaramonte Gulfi un posto poco manifesto, dove di artigiani ce ne sono parecchi ma è come se non si guardassero tra loro, persi in quelle contrade maleodoranti di conoscenza e di invidia. Le cooperative durano pochi mesi, l’unione non esiste così come la sfida. Ognuno fa il suo e della casa degli altri rimane sempre un vago sospetto. Così, i fratelli Presti, producono olio senza patemi da vendita e senza marketing arterioso su monocultivar in purezza o pezzi di terreno elevati al parossismo. Così… con un rispetto…