Pasticceria Antoniazzi: quel luogo che in Italia non c’è…Marco Antoniazzi e famiglia

antoniazzi

Tra Bagnolo San Vito e Mantova, in quel disilluso che si è portato via il tempo, i colori e il passato. In mezzo a quelle statali che portano fuori, ai campi di riso e alle porcilaie, in quella bassa padana che è ancora profonda affermazione di sé. E quando dico Bagnolo San Vito, dico Bagnolo San Vito. Qui concretizzare un’autorevolezza, in un mondo né agricolo né industriale, è qualcosa di straordinaria notabilità. Fuoriuscire dal gorgheggio signorile delle volte mantovane, dei suoi palazzi, di quel centro storico, rarità in Lombardia, che trattiene più che scacciare, nel mentre disadorno a cavallo tra il Mincio e il Po, è l’affermazione di una laboriosità contadina applicata, è un pregio che attiene alla presenza territoriale di una famiglia all’interno del proprio paese, ad un legame decennale che si è cementato grazie e a causa di una clientela, della stessa clientela una volta spiccia e ora attenta spasmodicamente ad ingredienti ed estetica. Avere a che fare con i centri commerciali e i centri di scarico giovanile e non vederli nemmeno, provare a rendere Bagnolo San Vito come Mantova, Mantova come Bologna e l’Italia come il Nord Europa, quella Francia e quella Germania che non sottintendono il concetto di artigiano, lo verificano e soprattutto l’esaltano anche nel numero, negli scontrini battuti e nella capacità di rendersi globali e scrostati.

Su quest’asse, la famiglia Antoniazzi sta raccontando la sua storia, fatta di terra, invidie, umiltà, fatica e qualità. Ennio e Neide arrivano dalla realtà contadina, avevano frisone da latte e conferivano ai caseifici del Grana Padano. Ma non gli bastava. Nascondevano buone scelte e idee rivoluzionarie. Soprattutto Ennio. Ingegnoso, affiancò le conoscenze dolciarie di suo fratello (pasticciere in una bottega di Goito) alla sua volontà di cambiare vita. Tra l’oreficeria e il dolce, scelse il secondo. Si guardò in giro, prese in prestito da suo fratello e dai migliori pasticcieri della zona (Spartaco Bertoli su tutti) un po’ di professionalità e aprì, nel 1968, il suo primo locale a Bagnolo San Vito. Neide racconta, Ennio entra e esce dal suo laboratorio, concedendo poco spazio all’evasione, l’ozio è una sottile forma di adulterio che nemmeno vari incidenti han potuto trasfigurare, Davide e Marco sono i finalizzatori di una storia al di là di tutto. E mentre Neide, sempre presente dietro il banco, si abbandona a tratti al ricordo e all’empatia, la pasticceria Antoniazzi trasforma, quotidianamente, le sue origini in qualcosa che in Italia, a conoscenza mia, non esiste se non qui.

Marco è una persona precisa, paziente e ascoltatrice. Doti rare, soprattutto in questo mondo spavaldo di trovatori alchemici. Non si lascia né ingolosire né irretire ma non tralascia nulla. I numeri sono fondamentali, nella crescita qualitativa e in quella quantitativa, le stesse che hanno portato un laboratorio di oltre 1000 metri quadri, il Caffè Borsa a Mantova, il Caffè Zanarini a Bologna e un capannone per gestire catering privati e aziendali. Lì in mezzo, in quella ricerca della professionalità su varie sponde, l’umano è chiamato a rispondere alle esigenze. Che vanno dai lievitati di Davide, compromessi bilanciati con discreti sviluppi, profumi da mettere a posto, buone sfioccature e resistenze eccellenti, ai retaggi familiari in millefoglie particolarmente marsalate e in straordinarie bignolate (bignè, zabaione e cioccolato croccanti e morbidi insieme), dolce iconico di un mondo di nebbie e desiderio che la sublimazione la procrastina sempre ai momenti vuoti, fino alle progressioni moderniste con pranzi da rimettere in ordine e dolci estetici e in viaggio verso un buono più o meno conclamato: Omaggio alla Sicilia dove limone verde, mandarino e pompelmo trovano una rara coesione, bavaresi alla vaniglia obnubilate dal cioccolato bianco, frolle ben frolle, creme al burro e zabaione (da far impaurire Pantagruele) ben bilanciate, zucca poco percettiva sul cioccolato, fritti e cannoncini con crema chantilly rari in altri territori, una sbrisolona ortodossa e una serie cangiante di dolci e colori artefici e vittime di una contemporaneità sempre alla ricerca dello stupefacente.

La percezione italiana verso l’artigianato è un misto di futuro decadente, di luoghi informi, forni a legna, botteghe umide e anfratti religiosi. Il piccolo è l’unico Dio da cui è impossibile prescindere. E così, ieraticamente, in processione verso l’altare del ganassa laccato, l’invidia spreme la propria adolescenza lasciando per strada bavosi e reietti. In questo luogo senza definizione, dove i colori non hanno struttura e dove la nebbia ha sempre coperto gli occhi, la Pasticceria Antoniazzi colloca se stessa come unicum in Italia, come luogo del delitto e del desiderio. Marco, probabilmente e seguendo il Maestro, è troppo umile ma conosce alla perfezione il limite di qualunque pasticceria. Dovrebbero concedergli il predellino dell’imprenditoria dolciaria e i pasticcieri mettersi in fila per imparare che la bontà non può mai prescindere dalla gestione e che quella mezza via, tra piccolo artigianato e imprenditoria familiare, può essere un percorso di qualità quotidiana e festiva, senza bizantini estremismi. Che poi è la semplicità della pasticceria. Il resto non riguarda la mia analisi e la mia sintesi, attiene a sfumature bizzarre e un po’ accigliate…

PASTICCERIA ANTONIAZZI

VIA ROMANA CONVENTINO 15

BAGNOLO SAN VITO (MN)

CAFFE’ BORSA

CORSO DELLA LIBERTA’ 6

MANTOVA

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