Quando il suino si fa veramente pesante… Giuseppe e Stefano Bettella

Gabbioneta-Binanuova. Località Polo Nord. Giornata uggiosa e piovosa di primo autunno. Allevamento di suini della bassa padana. Provo a cercare un accompagnatore ma rimango solo. Biasimo? La suadenza delle argomentazioni decade da subito. Ed effettivamente la pianura autunnale è un oblio aromatico. Anche in paese, la puzza di merda non può fare a meno di irrancidire il naso. Saturo, inizio la mia danza delle strade tra diramazioni tutte uguali. I cartelli non sono l’anima del luogo. La vista sconfinata d’orizzonte sì. I campi di granoturco lasciano spazio alle cascine diroccate. In mancanza di turismo, ciò che resta è un palazzo ducale sulla strada principale adibito a comune. Al posto dei cervi e del ponte levatoio, restano le macchine a sfrecciare e a chiedersi il perché di quelle bandiere. L’avversione allo straniero e allo scambio di idee e possibilità ha portato a trasformare i reperti storici, i castelli e i palazzi di campagna in meandri abbandonati, recuperati con il kitsch da strada statale e da ristorante con griglieria in bella vista e camerieri in abiti medievali. Se si è nati qui, è naturale rimanerci, altrimenti, il fascino del passaggio si trasforma nella necessità della fuga. Preso d’ansia, arrivo all’azienda agricola Bettella. Ecco. Esiste una magia anche qui.

Araldica pregiata e azienda agricola tipica. Novanta ettari di terreno qui e un altro centinaio in affitto poco lontano, un palazzo nobiliare dove Giuseppe ha passato la sua infanzia, probabilmente di una suggestione decadente, una casa dai fasti abbandonati per la città e un vecchio laboratorio di trasformazione privata, dove il nonno produceva salami a la maison per un consumo di uno a uno: un salame per ogni giorno invernale. Ha vissuto quasi novant’anni, alla faccia di dietologi, intolleranti e malattie cardiovascolari da colesterolo impazzito.

Allevavano galline, allevavano suini con metodo intensivo (dodicimila esemplari a tornata…), adesso hanno privilegiato una filiera corta da numeri importanti. Oltre duemila maiali, negli spazi che ne contenevano il sestuplo, campi coltivati a cereali (granoturco, orzo et similia), acquisto delle sole vitamine, disinteresse verso il biologico a causa della soia nell’alimentazione, foriera di crescite abnormi e puzze inconsuete, e norcini sparsi per la penisola per il finissaggio del prodotto. Giuseppe e Stefano Bettella, con l’aiuto del fratello/zio, e di cinque/sei ragazzi, gestiscono tutto loro, o quasi. Dall’allevamento alla distribuzione.

Giuseppe è convinto, in una cortocircuitazione dei ruoli, che suo figlio sia il vero decisionista aziendale. Nella comunicazione non appare così. Prende in mano il racconto e inizia a fucilare. Contro Stato, organi accertatori, norcini defunti, macellatori della domenica, ideologi del biologico, Dop e quant’altro. Lui alleva i suoi suini quasi due anni. Con un ingrasso equilibrato, riesce a portare questi incroci Large White a circa trecento kili. Troppo per chi deve vendere, troppo per chi deve certificare e troppo per chi deve comprare. La Dop li vuole tra i cento quaranta e i centosettanta. Loro vendono quelli e si fanno lavorare i loro. Stefano tiene il passo del padre, risponde agli accenni di competizione, cerca di capire dove possa essere il commercio e capisce quando il padre prende in mano il savoir-faire di una trattativa. Vederli scambiarsi e contendersi un’affettatrice è confortevolmente antico. Quasi divertente. Il dialogo si sposta dall’alcalinità dell’acqua migliore per i salumi, quella che rispetta la loro sapidità, quella che non lascia costrizioni, all’affumicatura. È un relativismo culturale diverso, con inflessione dialettale, senza patina.

I prosciutti raggiungono i diciotto kili, il lombo di maiale il metro di lunghezza, le pancette raggiungono terra. L’abnormità ha due bisogni: la serietà dei trasformatori e il gusto. Sulla prima c’è ancora molto da lavorare, zuccheri, conservanti, nitriti e nitrati, per un’azienda di questo tipo, su determinati salumi, andrebbero eliminati da definizione. Sul secondo punto, siamo molto vicini all’assoluzione. La mortadella è veramente buona. La concia ha un basso tenore aromatico, solo pepe e poco altro. In bocca è coriacea e scioglievole. Non è flautata e sporca come quelle dei soliti noti, anche nei templi gourmet in landa emiliofona. Spalla, prosciutto e gola danno grassezza. Finalmente. Il lardo, lavorato in conca di marmo, è sapido, nocciolato, e assomiglia, nell’oleosità, ad un insaturo. Il culatello con cotenna, o culatta, ha il miele e la sapidità. È grasso ma dolce. Veramente interessante. I wurstel, nella migliorabilità di una concia e di un affanno, di puro suino, hanno un sapore di carne e un’affumicatura bilanciata, ciò che non si può dire dello speck di pancetta, oltremodo unto e scappato un filo nel fumè (ma sono loro i primi ad accorgersene…). Manco il prosciutto e chiedo del salame: “Lo fan tutti, noi ce lo produciamo solo per casa, la vendita la lasciamo agli altri…”. Tutto senza presunzione della vendita, della piccola bottega o dell’assuefazione al cliente: niente tranci di salumi e niente impurità.

Giuseppe e Stefano sono radicati nella bassa, hanno bisogno di tempo per la fiducia e tempo per la comunicazione. Nel loro essere climatici, hanno un’ospitalità lontana, fatta di bolliti, ganascini e pentole in rame. In un paesaggio dall’estetica compromessa, sono quel retaggio da nebbia e da rogge gelate: nascosti ed integerrimi. Le zone d’ombra non fanno parte di questi luoghi. Qui, prima si lavora e poi si ha tempo per un atteggiamento…

 

AZIENDA AGRICOLA BETTELLA

LOCALITA’ POLO NORD

GABBIONETA-BINANUOVA (CR)

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