Due pazzi e un tortellino leggendario… Guido e Luciana Remelli

Valeggio sul Mincio. Il mio navigatore, partendo da San Giovanni Lupatoto, mi fa correggere la strada una decina di volte. In preda a nausea, acidità da troppi caffè bevuti, una lieve nevrastenia e l’aria di pane di Renato Bosco, finisco casualmente a Borghetto. Frazione di Valeggio. Uno dei borghi più belli d’Italia. Questa la definizione. Un’acqua placida, un luogo languido al di là degli sguardi turistici. Una luce che non definisce mai. Rimane sempre nei pastelli e nelle sfumature. I ponti sono sospesi. Il Mincio è un odore molto al di là di qualunque vista. Peccato non sia quello il mio approdo, nemmeno per una mezz’ora da dilapidare ad aspirare un odore di fiume, lento quanto gagliardo. Nulla, devo andare a Valeggio, lasciandomi alle spalle il ponte dove festeggiano, commercialmente, il nodo d’amore, quel tortellino che del paese è diventato un vessillo.

Valeggio è assolutamente bella. C’è del turismo e c’è un motivo. Così, in questo trivio sospeso tra il lago di Garda, le colline moreniche e la pianura mantovana, la gente passa e si ferma, magari stufa dei “Miralago” del Garda con i grassi idrogenati colorati, attratta dai vigneti del Lugana o magari dalla nebbia che tutto lascia all’immaginazione.

Insomma, dove i tortelli e le zucche si sono trasformati nel nodo d’amore e nel brasato, la famiglia Remelli ha messo in atto la propria follia.

Negozio in centro. Via vai di persone che comprano tortellini manco avessero scambiato la propria cena con il rancio dell’esercito e bottega del gusto talmente selezionata da fare invidia alle metropoli. I soldi spesi per corredarla non possono prescindere da un’anima commerciale. E così Luciano si diverte, cerca prodotti e spende soldi. Ma la sua bottega è piena, i turisti arrivano, così come i gruppi di stranieri su imbeccata delle agenzie di viaggio. Tutto questo a Valeggio sul Mincio, in un territorio lontano da approdi smaccati e turistici.

Guido e Luciana Remelli, fratello e sorella, di derivazione agricola, hanno deciso, venticinque anni fa, di mettere a frutto i più classici insegnamenti della nonna e hanno aperto quello che, allora, era un piccolo laboratorio artigiano.

Al di sopra della bottega, in quattro stanze separate, lavorano una ventina di donne. La produzione, in tutte le sue fasi, è svolta totalmente a mano (anche a Valeggio sono rimasti pochissimi a portare avanti questo tipo di lavorazione). C’è chi prepara i condimenti, chi stende la pasta, chi taglia la pasta, chi stira la pasta, chi riempie la pasta. Solo donne. Almeno in laboratorio. Le macchine impastano, stendono ed essiccano. Ecco la tecnologia. Asciugatura breve per alcuni condimenti, nulla per altri. I fratelli Remelli impostano il lavoro, decidono le ricette e mettono le mani in pasta in tutto quello che va dall’apertura del laboratorio alla chiusura del negozio.

Il loro è un lavoro di collage. Mettono insieme i pezzi, la clientela, i fornitori e i dipendenti. Producono il nodo d’amore, il terribile nome con cui si festeggia la tradizione e l’arte pastaia di Valeggio, e una quantità di altri prodotti. Tutto ciò è riassumibile in cura dei dettagli.

Farina di mulino Quaglia (che, con tutta l’epochè husserliana e l’avversione che può esserci in me, la trovo una spesa non indifferente e una soluzione molto al di là dello scontato… per un tortello…), sfarinati di grano duro rivedibili e una farina di forza del più classico dei mulini padani, uova di bianca livornese (in numero indefinito), gallina padovana (recuperata grazie all’Istituto superiore d’agraria di Padova), carni di macellai locali, eccezionali zucche mantovane, Monte Veronese di Dario Gugole e di altri piccoli produttori lessini, pera missa in stagione, sedano di Verona, broccolo di Custoza (solo a dicembre) e Asiago Stravecchio del presidio. La pasta è più spessa rispetto al tradizionale tortello mantovano, che mantiene una sfoglia più sottile, cuoce poco, non ha difetti di tenuta e di umidità ed è piena. Ecco l’eccezionalità della follia. Colmi di ripieno, addirittura oltre. La gallina padovana è assolutamente sapida, morata, un filo asciutta (ma meno male…), ricorda più un ripieno di selvaggina che di pollo, i classici tre brasati (maiale, manzo e pollo), che hanno reso celebre il ripieno del tortello di Valeggio, viene rivisitato con una pasta all’Amarone, estetica e assolutamente equilibrata; la zucca e le castagne, con i loro accoppiamenti con amaretto, uvette ecc…, sono pieni ma un filo troppo dolci. Ecco il difetto da tema intonso. Per il resto nulla da aggiungere, al di là dell’appagamento.

A corredare il tutto, prodotti di mora romagnola di Zavoli, le soppresse stagionate, le mostarde, qualche torta (rivedibile…) e le giardiniere a la maison. Quello che rimane di Luciana e Guido, oltre un’infaticabilità che mi mozza il fiato per la stanchezza e mi fa chiedere una sedia, è un ascolto profondo dei gesti altrui. Quelli dei clienti, quelli delle dipendenti e quelli dei consigli. Vivono di gusto proprio, ma soprattutto di gusto altrui. Hanno la precarietà dell’accoglienza, quella che non dà mai una voce per scontata. Creano gruppi, portando conoscenza anche a lingue e territori che non esploreranno mai. Per un motivo: il prodotto, oltre un quintale al giorno, è venduto tutto in negozio!

Un bel corso “Come fare l’artigiano al tempo della crisi” no?

 

PASTIFICIO REMELLI

VIA ALESSANDRO SALA 30

VALEGGIO SUL MINCIO (VR)

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