Calice Ligure. A meno di dieci kilometri dal mare. Non ancora in montagna. Sospeso in mezzo ad un paesaggio collinare. Probabilmente non dimenticato da Dio grazie alla sua vicinanza con i turisti milanesi e torinesi che da Finale, magari quando la morsa del caldo e del valzer voyeuristico dove tutti riconoscono tutti e dove si stila una classifica di quello con la porsche, della casa in collina comprata da un conte decaduto che ora fa markette per quello dello spettacolo che fa sempre il bagno dietro il Covo e ha la villa con le guardie del corpo, salgono e fortunatamente si sono accorti di una piccola gelateria. Perchè in Riviera sono tutte uguali (ad eccezione della nuova apertura di Alberto Marchetti ad Alassio) e perché qui lavorano due artigiani, lontani dalla supponenza ligure di vedere l’altro sotto la forma triviale e subdola del turista (e non dell’inferno…), che stanno cercando di colorare un paese fatto di strade principali che conducono, portano e allontanano, senza un satori che colpisca, lasci secchi e faccia rimanere.
Mi accoglie Matteo (Marco apparirà tra le righe solo sotto forma di assenza… e di una fugace comparsata notturna con in mano una coppetta di cioccolato e marmellata di chinotto di Alessio Pamparino che regala all’acido l’amaro del frutto, e all’amaro del cioccolato la freschezza aspra dell’agrume: assolutamente favoloso, con pochissimi eguali… ). Il locale è chiuso. Qui prima delle tre del pomeriggio non ha nemmeno senso aprire. La gelateria sembra una grotta. È lì da oltre sessant’anni. Ha le carapine, che non sono l’estrema moda del momento, ma un retaggio del gelato del nonno. Quello che gli chiedono, quello che alcuni clienti vogliono vedere mantecare attraverso le verticali Carpigiani, quello freddo, senza l’aggiunta di una tecnologia migliorativa. Quello che non fanno più. Perché Matteo, ma soprattutto Marco (che nelle parole del fratello è il creativo, con velleità culinarie molto oltre la normalità del gelato…) hanno studiato e si sono evoluti. Non agendo sul gusto (quello è un percorso netto ed evolutivo che non può nascondere il passare del tempo), l’antirughe l’hanno usato, lavorando, in maniera cogente, sulla pastorizzata e sulla mantecata. Comprando il Trittico, sono riusciti a dedicare ad ogni gusto la propria pastorizzata, con le proprie temperature, i tempi di riposo e le proprie imperfezioni. Quelle di materie prime ricercate (ma non ossessive…), che guardano il territorio (ma non si dimenticano di avere sempre a che fare con il cliente…) e che devono essere testate, cambiate e prodotte.
E allora Agrimontana va nel cassetto (ad eccezione della mandorla che mi è parso, a ragione, il loro gusto più debole…), entra Fugar, entrano piccoli produttori, la vaniglia Tahiti (molto più costosa) non soppianta la Bourbon, si lavora con qualche prodotto dell’orto del padre, il latte della Latteria Frascheri, qualche sverniciata di chinotto e qualche taglio della tela di castagna essiccata sui tecci. L’ensemble dà una consistenza di intensa finezza, granulosità appena accentuata e una cremosità fredda che riporta al passato, mentre guarda al futuro del bilanciamento. Lo sciroppo di menta di Pancalieri non può essere utilizzato perchè ha lo zucchero aggiunto e bilanciare gli ingredienti (inseguendo l’antico adagio di Caviezel) ha il viso lavato del lunedì mattina…
Matteo (ma anche Marco mi ha fugacemente impressionato sotto la stezza zona d’ombra…) è persona gentile, con la raffinatezza data dal garbo, quasi lontana, con quell’orecchio che non può fare a meno di rimanere aperto. Il complimento è un vezzo che crea verecondia e domande. La sua sapienza si espone perfettamente nella forma del dialogo, nello spazio etico della domanda-risposta e non in quello primitivo dell’azione-reazione. Nulla di professorale, il predellino semmai è girato. Nulla di verboso, apocalittico o pomposo. Una domanda sincera su cui intessere il dialogo. Che sia sul fiordilatte, sugli ingredienti o sulla tostatura della nocciola. Matteo ha l’adagio di essere un ospite all’interno di una materia che si può solo rovinare. Ma gli assaggi, quelli sì, quando i fornitori li propongono, quelli li fa tutti. Senza lasciare nulla d’intentato ma senza lasciti. Fidandosi del gusto comune (una fratellanza senza ipocrisie, con l’invidia lasciata al di fuori e una stima verso chi facilita e fagocita una crescita al posto di piallarla al suolo…), in maniera incondizionata. E quindi abbandonando il cattivo per il buono. Perchè, prescindendo da quegli aggettivi carichi di enfasi e suggestione, questa distanza è La Differenza. Capire che ci sono delle migliorie e che si può sempre crescere. E allora penna in mano e sviluppo dell’analisi sensoriale.
La mia fiducia è illimitata anche verso i gusti più sottotono o meno valorizzati, come il basilico a base fior di latte (e non a basa acqua) e il fior di latte miscelato con la marmellata di arance amare. Tornerò e, quando lo farò, troverò altre assenze, altre domande e altre mete non raggiunte. Ma rimarrà lo stesso viaggio e la stessa capacità di comprensione. I gusti saranno buoni (dove prima erano normali) e saranno straordinari (dove prima erano ottimi). Perchè scommettere, come insegna Pascal, non mi costa nulla… se non la redenzione… ma le quote sono molto basse…
Oltre la personalità e la cortesia, ci sono i sapori: la pinolata (con il pinolo del Parco di San Rossore) è un gusto lento, molto resinoso, non colpisce da subito ma ha la capacità dell’assuefazione. Il pistacchio, forse un filo troppo tostato, recupera la persuasione con il tempo. La pesca di Volpedo ha la dolcezza della maturazione, così come il melone. Strepitosi i bouquet dei cioccolati, tra cui un cioccolato bianco amalgamato con il caffè, dal colore candido e dal sapore amaro, che mi ha generato quella confusione da guance rosse. Crema alla vaniglia raffinata, poco dolce e con una consistenza né gelatinosa, né acquosa. Soda. Ancorchè i Pastorino non mi siano sembrati dei cultori dell’uovo…
Calice Ligure è un microcosmo che nulla lascia al prossimo. I tavoli dove vengono servite le coppe (tanto demodè quanto fertili…) si svuotano, le sedie in legno si capovolgono al di sopra dei tavoli. I pozzetti si chiudono e le volte della gelateria sembrano ancora più basse. Questo è il reportage di uno stralcio di futuro e di nobiltà…
GELATERIA PASTORINO
VIA VITTORIO VENETO, 31
CALICE LIGURE (SV)