Isola della Scala. Uno di quei due/tre posti in Italia dove si dovrebbe fare autarchia risicola. Qui ci sono le pile vecchie, i campi bagnati, i pessin, ci sono gli aironi, ci sono le leggende, c’è la fossa Zenobia, c’è il maniscalco, l’offelliere, c’è il riso lavorato con i pestelli, i tempi lunghi, i campi biologici e i campi con poco inganno, le mostrazioni di signorilità e le feste di paese. Isola della Scala è un luogo con una connotazione ben precisa, con delle abitudini ben delineate e con uno stupore che non trova molto spazio. Le qualità nutrizionali del riso sono l’assuefazione quotidiana della cena, il surrogato ideale della pasta, quel piatto basilare da tre/quattro volte a settimana. Esiste una questua, un desiderio, una necessità, una festa, un lunedì mattina e una ritualità. Isola della Scala è fatta di nuvole basse, di sguardi dolciastri e di domeniche mattina sul sagrato della chiesa. Qui i momenti ancora scandiscono i momenti, senza fretta. E la rappresentazione migliore, quella da cui immaginare il resto chiuso senza urgenze, è una risotteria di un produttore di riso. Melotti ha capito che la filiera toglie un po’ di esposizione alle critiche che vengono rimandate al mittente sotto forma di tipo di coltivazione, quantità di ettari e guadagni concreti. Così le dimensioni familiari della ristorazione incantano l’avveduto. Eccoci qua.
Domenica mattina, mercatino in piazza, la gente entra ed esce dal ristorante chiuso. Il motivo. Ordinare il riso da portarsi a casa. Questo metissage, tra borghese a tavola, con il cappotto di capra pakistana, e dissidente benestante, eccentrico ma senza volontà, che del risotto ricrea un pasto da mangiare in macchina in compagnia del figlio gonzo, ha la singolarità dell’evento, della religiosità, del rito, dell’anima di un paese bagnato d’estate e asciutto d’inverno.
Gianmaria, suo fratello, sua sorella, sua madre e suo padre hanno una discendenza diretta da imprenditori agricoli che avevano una discendenza diretta da agricoltori. Nel 1986 decidono di coltivare il proprio riso. La vocazione territoriale li porta ad un rapido allargamento. Vialone nano per cominciare, Carnaroli per proseguire e la casualità per terminare ai giorni nostri. Inconsuete germinazioni selvatiche di risi unici li portano ad una selezione del Vialone Nero (antesignano del nano), meno produttivo, dal gambo lungo e dal colore corvino sul campo, e all’originario nero Beppino (dal vezzeggiativo del padre), la voglia di concedersi dei tempi lunghi li conduce verso il Vialone Nano Novello, coltivato in terreni non sfruttati in cui non ci sono coltivazioni da almeno due anni, prototipo dell’agricoltura naturale, e verso il riso essiccato un paio di settimane sull’aia direttamente dai raggi del sole. Sono risi equilibrati, rimangono in cottura, retrogradano e gelatinizzano. Sono contesti leggeri, giornalieri, senza leccate di baffi. Il vialone nano va tenuto sgranato, perché tende a compattarsi, ha un senso di povertà molto al di là della predilezione. Democraticamente elegge se stesso.
Gianmaria non crede alle facili mitologie, ma rispetta chi riesce a creare marketing attraverso un buon compromesso tra leggenda e realtà. Il riso grezzo invecchiato senso fino all’anno. Lo sviluppo rende amido e proteine meno solubili, aumentando la capacità di assorbire e migliorando la tenuta. Dopo l’anno, è epopea. Dalla preparazione del campo alla pilatura finale: Luca si occupa dell’agronomica, Gianmaria della finalizzazione, i genitori del controllo, e Francesca, la sorella, della parte amministrativa.
Da grandi proprietari terrieri hanno deciso per la filiera e per l’artigianalità. Hanno aperto da poco più di un anno una risotteria a New York, senza affidarsi ad uffici di comunicazione new normal ma lasciando che l’esperienza di un prodotto lento mantenesse i propri tempi e i propri luoghi. Senza proclami. Così la tipicità è rimasta nei menù, le caratterizzazioni estetiche sono passate attraverso altri artigiani con cui collaborare per creare birre, sbrisolone, biscotti, gallette, mandorlati, confetture, grappe e paste, e il resto è lasciato a quegli spazi sconfinati dove un risotto all’Isolana, a metà strada tra riso alla Pilota e risotto classico, continua a non mostrare contraddizioni. Perché non serve molto di più. Freddo, nebbioso, accompagnatorio, povero, delibante, quotidiano. Un piatto fatto bene, con la giusta mistura tra brodo e riso, magro di vitello, lombata di maiale, cannella, grana e burro. Un piatto consolatorio, che rimette tutto a posto.
Gianmaria ha la giusta fierezza e la giusta accortezza. Sa ancora stupirsi e sa ancora educare. In quella comprensione che solo la pianura ha reso accessibile. Perché qui non ci sono smancerie, c’è gente che lavora, che produce e che ha voglia di mangiare quello che è stato prodotto. Senza falsi proclami ma soprattutto senza sofisticazioni e bei racconti. Tornerò per vedere i campi bagnati e tornerò perché le anime educate sono la rappresentazione migliore di un’Italia rimasta… tutto qui…
AZIENDA AGRICOLA MELOTTI
VIA TONDELLO 59
RISOTTERIA
PIAZZA MARTIRI DELLA LIBERTA’ 3
ISOLA DELLA SCALA (VR)
Descrizione vivace, piacevole e davvero coinvolgente.
I nostri Complimenti!
La famiglia Melotti ringrazia per questo articolo, con grande piacere.