Riso Goio: l’intraprendenza della tipicità… Emanuele Goio

Rovasenda. Baraggia Vercellese. Pianura sconfinata con uno sguardo verso il Monte Rosa. Case basse, pochi grilli, associazionismo, chiesa e fabbriche quasi in sepoltura. Luoghi di una religiosità signorile, dove lo scomponimento è avvenuto prima in villette bifamiliari, poi in villoni sulla strada che porta fuori e infine in aziende agricole che producono, riproducono e mantengono la tradizione del riso in questi terreni argillosi che, nell’adattamento, si sono ritrovati con in mano un’unica coltura. Il riso ha degli ingegneri, ha dei paesi e ha dei pensatori, qui c’è una cultura che ha lasciato delle tracce e ha determinato delle specificità. Nella Baraggia il Sant’Andrea è sempre stato rappresentazione di una tradizione che lentamente veniva privata della nobiltà. Il suo essere soppiantato non l’ha lasciato nella decadenza ma nella necessità della riscoperta. E così la famiglia Goio, su questi terreni dal 1929, ha deciso che ne sarebbe diventata l’alfiere principale. In una quasi purezza dettata dalle leggi di mercato e dalle frivolezze della contemporaneità indulgente…

Emanuele ha preso in mano l’azienda da suo padre e sta guardando attraverso le coltivazioni in serie per portare fuori il suo riso. I ricordi sono quelli dei raccolti da portare alle riserie di turno che le veicolavano verso l’industria. Risi comuni e risi pregiati non sortivano l’effetto dello stupore, venivano mescolati e indirizzati. Il conferimento aveva tempi e modi ben definiti e le relazioni potevano tranquillamente rimanere ombrose. Lui, passato travagliato e famiglia in espansione, ha deciso di farsi il suo riso, producendosi il suo marchio. Dalla Cascina San Felice, acquistata dal nonno Ernesto in transito dal novarese, passando per la Cascina Collobiè, messa a dimora dal padre Pietro, Emanuele ha portato i terreni coltivati verso i duecento ettari. Prima del biologico e delle certificazioni. Avvicendamenti colturali, rotazione dei terreni, soia e prati stabili ad alternarsi con il riso, semina, e questa è una novità a queste latitudini, completamente in asciutto e acqua da fine maggio, maturazione in campo il più possibile, mietitura e essiccazione in cascina e blando invecchiamento. Il resto della filiera per ora è demandato ad una riseria ma Emanuele è già sulla strada. Il Sant’Andrea aziendale, previo scarto delle insoddisfazioni, è uno dei pochi risi in Italia per cui è permessa un’unica cultivar, ha una tipicità territoriale ed è eclettico in cucina, dalla risottatura alla bollitura, passando per il vapore, tiene molto bene, rilasciando molto amido, ed è un mantecatura naturale anche senza forzare la cuticola. La lieve eccedenza è un riso nero integrale che i libidinosi contemporanei hanno approssimato alla vaniglia e al mirtillo e che io mi ritaglio con il mio pomodoro e il mio olio di oliva in tutto quello che è possibile associare al riso in una stagione senza fumi. Perché si deve parlare di riso e non necessariamente di risotto, soprattutto da queste parti, in quella cucina che, tra alto e basso, si è sempre trovata d’accordo verso una monocoltura valorizzante che non è andata oltre l’onda o il mantecare. Emanuele, insieme ai suoi figli e allo sviluppo dello street food con un truck personalizzato e innovativo (“perché ad un evento il riso si vende poco e male, mentre di risotti e piatti cucinati c’è grande richiesta”), sta cercando un oltre raffinato che non dimentichi la parte agricola, preferendole la leggenda. Ecco, in quella mezza via e nel superamento dei limiti, ci può essere una stradina che esce da quest’ultimo lembo di savana europea…

RISO GOIO 1929

VIA GATTINARA 13/A

ROVASENDA (VC)

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