Se una sera di fine inverno, un macellaio… Giovanni Bonacina

Bergamo. Si stanno accendendo le luci. Le vie sono appannate dalla fine del crepuscolo. Potrebbe piovere o potrebbe continuare il sereno. Quella tautologia che risponde al nome di meteo, non dà speranze all’improvvisazioni. Si alzano i baveri dei blazer e degli impermeabili, la temperatura si abbassa, le pozzanghere riflettono i lampioni, le speranze, gli aperitivi e le gambe sporgenti oltre le minigonne. Tra le ombre, si annidano le paura e la voglia di non parlare, di una città che è molto oltre il cambiamento. Ha un’immagine che la vende male e la dipinge peggio, ha la bellezza che riluce nelle tranciante e ripetitiva “Bergamo bassa o Bergamo alta?” e possiede degli angoli nascosti e streganti dove continuare a procreare fantasie e bellezze, dove puoi trovare Luca Brasi o Giulio Signorelli, Riccardo Schiavi o il riecheggio lontano di Vittorio Cerea, ma anche un uomo distinto e lontano che risponde al nome di Giovanni Bonacina.
Questo noir sottoforma di labirintica ricerca di una bottega, dispiega litigate in mezzo alla strada, tipi loschi che ci seguono per poi capire che eravamo la persona sbagliata, paesi “di provincia e ritorno” e un grande affinatore dall’occhio sonnolento e con dei figli maleducati e scontrosi, ma impossibilitati a mettersi per strada in solitaria.
Quando entro nel negozio di Giovanni Bonacina, la carne è già sparita dal banco, un ragazzo, che potrebbe essere suo figlio, il più tipico dei garzoni di bottega o il killer delle pezzate rosse, sta togliendosi il grembiule e ci lascia quasi subito.
Abbiamo dei conoscenti comuni. Un paio-tre di nomi e il legame è costruito. Possiamo andare oltre nella rivisitazione di alcuni giudizi su un macellaio di fama a cui convergiamo senza nasconderci né dietro un dito e nemmeno dietro un ventaglio stilizzato ad ombrellino cinese, dove trovare parvenza, ciliegi in fiore e neve… Entrambi abbiamo provato la sensazione di come, in alcuni casi, non ci sia bisogno di eccedere e che la cattedra dovrebbe essere sempre della carne…
Fassone e Charolaise (quest’ultima non presente… ma su cui, e questo mi ha colpito in maniera netta, sofferma più volte la sua attenzione e il suo dispiacere per non potermela fare assaggiare), qualche chianina, quando la trova, o qualche romagnola. Vorrebbe essere intransigente sulle razze, ma la presa per il culo contemporanea lo sfiora solamente e preferisce l’umiltà.
Ogni tanto qualche cinta senese, ma più normalmente qualcosa che gli allevatori possono allevare, senza la preoccupazione del prezzo o del rischio estinzione.
Giovanni riapre tranquillamente le celle frigorifere. Mi fa entrare… e fortunatamente non mi chiude dentro…. Il noir ritorna ad essere un documentario sulla mia incapacità di tenere a freno il desiderio di possesso. Circondato dal rosso, dal porpora e dal corallo, ho iniziato ad inalare circostanze e risposte. All’ennesimo vorrei, Giovanni mi sorride ma senza mettermi pressione. Questa cosa mi acquieta e mi fa tornare al banco.
Scorgo i pelati e le passate di Paolo Petrilli. Le sue scelte mi sono sembrate strettamente necessarie alla sua professione. Senza show, senza sprechi ma soprattutto con un’idea di bontà poco ricercata ma molto profonda: il gusto del cliente.

– Carpaccio di noce di fassona, colore succulento, sapore non particolarmente accentuato, morbido e poco marmorizzato. Giacca da vela Henry Lloyd, musicassetta arancione e spalline posticce, ha qualcosa di antidiluviano e fuori moda… ma, nello stesso tempo, qualcosa di malinconico che non può fare a meno di tenerti…

– Il cappello del prete è strepitoso. Non è leggermente venato ma ha una grossa vena che taglia tutto il pezzo della polpa, cucinato come “manzo all’olio” si fa fatica a privilegiare il sapore rispetto al tenore della carne: morbida e succulenta spiegherebbero troppo poco, ma spiegherebbero… probabilmente, però, siamo già nell’ambito degli aggettivi superflui…

– Infine una costata di piemontese che nella semplicità della cottura e della frollatura, non ha bisogno di granchè. Rosso vivo, grana serrata, grasso che si scioglie, saporita, spiccata e decisa.

Prima di lasciarmi, Giovanni si dispiace di non potermi fare assaggiare “il” salame che, nel mentre, mi vende con gli occhi. Si sofferma, prende il coltello in mano e mi stringe la mano. Senza spargimento di ulteriore sangue, richiude la stanza refrigerata e quasi si dimentica di chiudersi fuori… questo è tutto quello che mi è arrivato dal soffio serale di un macellaio gentile…

MACELLERIA BONACINA
VIA DELLO STATUTO, 19
BERGAMO (BG)

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