Sicilia rurale, capre Girgentane, meloni siccagni e un mondo dove il giudizio è sospeso… Fratelli Capuano (featuring Gino Romana)

Caltavuturo è un paese sfiorato. Ha delle vie, qualche bottega, una piazza ristrutturata, emigranti e reduci, maestri elementari, corriere da prendere, qualche volto meno dilaniato e qualche volto trattenuto, giovani che se ne vanno senza ritornare e giovani che ritornano senza mai essersi mossi, vista a perdita d’occhio e una quantità di campagna agra, difficile, meravigliosa, che toglie il senso a tutte le Sicilie che non siano questa, quella dei carovanieri, dei pastori, della siccità, del vento tramortente, delle gradazioni di giallo e marrone, degli olivi e dei pomodori. Il barocco e le isole sono esempi straordinari di civiltà, ma solo in queste lande si esce fuori dal tempo, riappropriandosi di una dimensione rurale. Qui, la pennichella e il sole gestiscono ancora umori, rumori, gradazioni e tempi scenici.

Antonio Cappadonia e Gino Romana, i miei due compagni di viaggio, estensore e mantecatore umano dell’atavica forma del sorbetto che in Sicilia, nelle neviere, nei nevaioli e in quei lasciti in bianco e nero ha ritrovato una forma di assaggio fuori da qualunque logica. L’incontro tra gelatiere e professore è stato casuale. Entrambi perseguivano un ritorno al futuro. Piano Principessa e una delle rarissime neviere rimaste, lì, ogni luglio, da qualche anno, Antonio, Gino e pochi eletti si trovano per mantecare il limone con la neve. L’impossibilità di trasferire un pezzo di montagna, ha portato l’ingegno verso un pozzetto rurale, del ghiaccio, del sale, il bilanciamento di Antonio e le braccia di Gino. Così, le serate sono diventate un tema di stupore molto al di là dell’artigianato, in quell’unico momento “fenomenale” che è molto più un retaggio culturale che un evento. Gino e Antonio sono stati dis-velatori di qualcosa che già c’era, che era sepolto sotto quintali di zucchero e di emulsionanti, hanno riportato alla luce una manualità senza surrogati, qualcosa che dovrebbe andare al di là dei plissé e dei bicchieri di cristallo, che dovrebbe rimanere connaturato ad una Sicilia che ormai si è venduta a quella dimensione dove tutto è stupefazione, fenomeni da baraccone, hollywood party, elefanti in piscina e moglie del commendatore appartata. Antonio e Gino sono filologi del gelato. Altro che cattedre! Lo studio assaggiato è il nirvana della comunicazione. Al posto di fagocitare, basterebbe ascoltare!

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Lì, a Caltavuturo ci sono arrivato grazie a loro. Gino Romana è maestro di religione nella scuola locale e c’è una foto che testimonia che il predellino è stato sostituito con un’estasi cristiana da folgorazione sul monte dell’Arca. Salvatore e Antonio Capuano sono ancora lì, in mezzo ai loro animali, a contatto con quel mondo che non esiste più che nelle buone intenzioni. Le parole vengono a mancare, lasciando spazio agli animali, alle trecento capre Girgentane, alle vacche di razza Limousine, a Mirko, apprendista libero, basette alla Joe Coker e discorsi radi, a Salvatore che, in attesa del latte per fare il suo formaggio, cerca di portare verso la ragione quell’immagine di Antonio, suo fratello, che rimane lì, sospesa da qualunque giudizio, perché molto oltre. Capelli lunghi biondi, dialetto senza inflessioni, vita allo stato brado e due occhi che non hanno nient’altro che fede. Non è possibile conoscere una per una le proprie capre, mungere ancora a mano a cavallo di un ceppo, sapere esattamente non quante capre mancano ma quali capre devono ancora essere munte, soffrire la perdita di una capretta come un’angoscia verso l’infinito, rispondere che il proprio Natale deve passare dal Natale dei suoi animali, mantenere l’enfasi dell’eccezionalità attraverso sorrisi che sono molto più che ecumenici, rimanere impresso sotto l’albero con in braccio la vocazione della propria esistenza, testimoniare la sua presenza attraverso l’affetto (rarità nella rarità), omaggiare l’Ecce Homo nella speranza di un ritrovamento… semplicemente non è possibile… almeno non in questo mondo… Troppo puro. Manca di un canone, di un’ipocrisia, di una gelosia, di un angolo oscuro dove dissimulare un sapere o una nostalgia. Semplicemente, Antonio si alza la mattina, si guarda allo specchio e si vede. Oltre la rivoluzione. I concetti di buono e cattivo, di prodotto, di artigianalità, di scelta e di abitudine, sono svuotati di senso. Non esistono più. Ma pedissequamente sono costretto ad andare avanti… perché il racconto potrebbe far partire qualcuno per imparare il non insegnabile…

Salvatore alleva le sue Limousine da carne, totalmente allo stato brado, linea vacca-vitello, finissaggio di una trentina di giorni, macellazione, buona frollatura e carne in bottega da Mario e Nicola, gli altri due fratelli che nel centro del paese hanno dato un po’ di stabilità alla famiglia.

 

I formaggi scappano, le ricotte hanno dell’ircino, vengono ancora cotte a fuoco diretto sulla legna, il primo sale è un buon prodotto che non migliora nella stagionatura, la carne è selvatica, piena, ma senza note amare, ha una grazia nel bilanciamento tra la morbidezza dei culoni di bestie nate per essere macellate e l’allevamento brado in foraggi poveri e viste eterne. Ma il giudizio è l’ultima delle relazioni.

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La macchina perde la sua ragione d’esistere, gli unici mezzi sono il fuoristrada o la pazzia di una vespa ben guidata. La campagna di Gino Romana è la classica campagna atavica da pomodori siccagni e orti nascosti in mezzo alle pietre. Dalle Madonie ai campi di grano, la vista è solo giallo, un assoluto di giallo senza vento e senza nuvole. Lì, in quel forno a legna alimentato ad ulivo, una donna di ottant’anni prepara ancora le scacce (o focacce) con il lievito di birra e con il crescente, mantenendo vivo il rito familiare della domenica a pranzo e rimanendo sempre un passo indietro al dialogo, in quella deferenza femminea e paesana che in questi luoghi ha creato, obliato e combattuto una definizione. Ma l’arcaico non aveva ancora scoperto quel melone, quell’unico Cantalupo siccagno (coltivato con pochissima acqua), dolce ma non sur-maturo, arancione ma senza gelatina, croccante fuori da qualsiasi logica. L’Idea del Melone. E lì non possono che finire la mia attenzione e la mia ricerca…

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(Le foto sono una gentile e straordinaria cortesia di Antonio Cappadonia)

 

MACELLERIA CAPUANO

VIA CAVOUR 5

CALTAVUTURO (PA)

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