Marineo. Provincia di Palermo, in mezzo a qualcosa di indefinibile, sulla strada per Corleone ma non del tutto. Diramazione dalla statale per Agrigento, ma cinque kilometri per i nostrali sono un pellegrinaggio, vicino al bosco della Ficuzza, anche se l’aria fresca rimane posticcia e un un po’ distante. Questo è uno di quei posti dove il siciliano rimane invischiato nell’inerzia. Di non sapere di avere un passato e di non tentare la strada della valorizzazione. Su tutto, troneggia la Rocca, una sorta di oasi di biodiversità, nel cui sotto-roccia crescono specie rare (i locali mi riportano la presenza dell’Iris dal gambo corto). Sotto, si avvinghia il paese con in lontananza i sentori dolomitici della Rocca della Busambra con i suoi pinnacoli e con la sua feracità, rappresentata da orchidee endemiche, dalla viola del Tineo e dal biancospino.
In mezzo alle rocche e propedeutico ad un bosco, uno si aspetterebbe tetti rossi e scoscesi, comignoli e pietra viva; invece, si trova immerso nella solita strada provinciale che diventa la via principale del paese che si attorciglia, sale e abbandona la compagnia. Ma il mio stupore antifrastico ha smesso i panni della poetica, per assumere quelli della ricerca di parcheggio. Macchine in doppia fila, clacson e villette su due piani in mattone vivo.
Qui, nascosto al mio sguardo che cerca di non investire nessuno, ha aperto bottega, il 23 dicembre del 2011, Carmelo Sciampagna, pasticciere originario ma giramondo, uno di quelli che la sintesi hegeliana se la sono sorbita come esperienza.
La pasticceria ha una struttura chiaramente poco integrata. Sia per un estetica fucsia-moderna che richiama i bagliori della settentrionalità e dei cocktail bar, sia per l’invidia paesana che non compra (o almeno non direttamente…) ma commenta, e che vede il progredire sul piano del tradimento ad un testo originario: “Tu, pasticciere siciliano, farai soltanto bocconcini, cassate e cannoli”. Che poi questi vengano fatti idrogenare nello stomaco dell’ignaro cliente, poco importa al sonnolente dietro il banco con ciglia abbassate e straccio in mano.
Carmelo ha portato paura laddove l’abitudine atavica aveva il prezzo basso e il dolce domenicale con il fondo tinta.
Giramondo per la catena Melià-Sol, tra Messico, Indocina ed Europa. Tappa fondamentale da Iginio Massari. Sette anni, probabilmente sulle montagne russe, ancorchè, dice lui: “tutto semplice”. Apprendimento, pasticceria, concorsi, rapporti con il Maestro e sveglie mattutine. Ritorno al paese natale e apertura di un locale sotto Natale. Panettone da subito, così da mettere in chiaro le cose e da gettare quelle ombre, che la rocca non è mai riuscita a sviluppare, su concittadini e palati. Nove mesi e già si studia il modo migliore per sbarcare nel capoluogo. Ecco la diegesi… tutto il resto gli è rimasto impresso, tra il vivido e il retorico, nelle maglie dello sguardo…
Senza compromessi e senza sicilianità ottusa. La modestia è un appezzamento di qualcun altro, i suoi occhi “impresusi” hanno lo sgaurdo yuppie del bigliettino da visita e della borsa Bottega Veneta. Un punto di partenza, dei mezzi e una meta. Il viaggio è per cantori, sofisti, poeti e romantici, il suo modo di pasticceria è estremamente geometrico, di un’estetica laccata senza sbavature, con quella voglia di arrivare che pare uscita da un manifesto di propaganda reaganiana. Edonismo e lavoro. Ecco le basi per fare di Marineo un qualunque agglomerato metropolitano. Con la sua “bottega” in cristallo minimalista e con il suo meraviglioso laboratorio di cinquecento metri quadri, schematicamente organizzato in due distinti piani. Dentro e fuori, rimane Carmelo, la cui comunicazione è priva di arzigogoli, così come le mie risposte, mai date, sulla bontà del gelato. La sua convinzione dell’eccellenza non è rintracciabile in un gusto scialbo e poco pulito. Ce l’ho fatta…!
… per tutto il resto ci sono i suoi dolci e il suo modo di lavorare. E lì non si scherza più con la disapprovazione. Anche nei gusti estremi o più patinati, c’è una precisione e un’architettura della sostanza di rara potenza strutturale.
Un dolce che, a prima vista sembrerebbe un ginepraio di accostamenti azzardati (aromi tropicali, bavarese alla mandorla, mandorle e note di ciliegia), qualcosa che non prenderei mai, se non invitato, diventa uno sbalordimento. Luna Rossa. Un nome che raffredderebbe la mia salivazione, se Carmelo non mi invitasse all’assaggio: rosso borgogna che ricopre uno strato felpato con una croce liquida al centro. Straordinario assemblaggio tra le strutture: spumosa, friabile, liquida e croccante sono l’immaginario geometrico di questo trentaqauttrenne poco appariscente. Perfezione della forma con un gusto che non si sovrappone, a volte fuoriesce ma è comodamente stabile su almeno tre fette. Nausea, immaginario e fastidio per i derivati della ciliegia mi sfiorano al primo impatto, ma per il resto rimango incantato da sapori complessi, che non mangerei a colazione, e dall’ordine armonico.
La piccola pasticceria mi riporta al nord. Da Biasetto a Massari. Qualche sigaretta o sfogliatella o “settevelina” col sentore di Sicilia, e tutto il resto improntato su una contemporaneità che gioca con consistenze e accostamenti, che mostra un falso bianco d’uovo sotto una coltre di zucchero a velo, che chiude l’acido nella crema gialla e riporta la mandorla come tocco e non come ordine. Su tutti una savarin evanescente.
In laboratorio, mentre guardo e mi persuado il giusto su determinate scelte, mi trovo davanti la madre del suo lievito. Fuor di legatura, poco acetico, con una fermentazione lattica estremamente dolce, coesa e neutra. Fragrante e veramente equilibrata.
Il tutto, frutto di scelte consapevoli, ragionate al millimetro, quasi troppo, con alcune dissonanze che inciampano sulla sua mascherata età. Quella che lo farà tornare indietro, spero.
In questo momento, Carmelo mi è parso un legislatore del dolce, con quell’emozione sempre un filo sotto e con quell’arroganza sempre un filo sopra… ma con un’idea precisa di espressione… una diversità a tutti i costi…
PASTICCERIA SCIAMPAGNA
VIA AGRIGENTO 17
MARINEO (PA)