Stracchini e alpeggi delle Alpi Orobiche… Matteo Pesenti

 

stracchino

Camerata Cornello. Cornello Tasso. Tassi. Taxi. Il sistema postale è nato qui dalla famiglia Tasso (che nelle sue discendenze ha acquisito letterati e poeti) che poi è diventata tedesca, nobile e ricchissima. Da un piccolo borgo montanaro al servizio del Sacro Romano Impero. Così, queste quattro case e questo piccolo gioiello mantenuto hanno un senso all’interno di un sistema paese-riconoscimento che non ha più nessun valore. La gente passa, si ferma all’agriturismo evoluto col maneggio, i piatti tipici e l’imprenditore illuminato o prosegue verso l’alta montagna: per sciare o per passeggiare. In questa media montagna, di cui questa Lombardia può fregiarsi della definizione, i boschi, le vette e i silenzi hanno lasciato posto alla decadenza termale, allo stile moderno dei Grand Hotel, alle ciminiere in mattone refrattario e ai fiumi produttivi. Qui, in questo angolo di mondo, ormai poco remoto, le centrali idroelettriche hanno preso il posto degli abeti e andrebbero difese come patrimonio operaio dell’umanità. Architettura classicheggiante austera. L’epitome di queste valli: lavoro e silenzio.

Tutto ciò ha ancora un senso se si cambia strada o se si sbaglia strada. Così, le frazioni di Camerata sono talmente remote da non avere bisogno nemmeno di frane. La strada sale verso Cespedosio e verso Era. Le cave di marmo arabescato orobico sono una strada distrutta o lastricata di sassi. Qui, l’inclemenza del tempo taglia i ponti. Così, sbagliando strada più volte, arrivo alla meta. Nessun segnale e nessuna comunicazione. Solo una strada scoscesa sulla sinistra della principale e una cascina che non è ancora un alpeggio. La differenza sta solo nell’assenza di una mulattiera e nella comodità dell’asfalto.

In questo luogo, Matteo Pesenti, ventiquattro anni, porta su, in solitudine, ogni estate, la sua quindicina di vacche.

Forma di mezzadria evoluta. Esistono i proprietari dei locali che affittano una parte della casa, per la stalla, dove ci sono le partorienti e i vitelli appena nati, e per il caseificio, un capanno e i terreni per il pascolo. Lì ci sono le vacche da latte e il toro. Più su, dove la strada diventa uno sterrato, poi una mulattiera, poi una sbarra con il cartello di divieto, e infine uno straordinario altipiano di cinque ettari, dicevo più su, oltre i 1600 metri, dove una volta due pastori si dividevano delle piccole malghe e delle piccole casere, producendo il proprio formaggio, tra ruderi e uno straordinario tappeto di “tortorelle” (nome locale ad indicare la tipologia più comune di fiori…) che ammanta tutto di rosa antico, l’orizzonte, la vista, il sogno, la gloria e anche la necessità svuotano i polmoni.

Lì, ci sono le vacche in asciutta e a breve le manze da carne. Tutto il giorno e tutta la notte al pascolo. Solo erba e fiori. Matteo porta su le sue bestie a piedi. Dal paese al primo maggengo (dove caseifica e dove dorme) fino all’altopiano dove le pendenze eccedono e fanno tacere ulteriori richieste e domande. La fatica è una commisurazione misera nella mia quotidianità. Non riesco nemmeno a quantificarla. Salita, discesa, mungitura, caseificazione, ritorno al paese e agli affetti e notte in solitaria. La valle Brembana è un sistema di alpeggi, tra stracchini e furmai de mut, tra strachitunt e branzi, dove il fascino non è una confusione da turista in maglietta a righe e vista sulle Dolomiti. La provincia di Bergamo ha sempre lavorato, lavora e continuerà a lavorare. Matteo incarna e scarna. Guance rubizze, intercalare fulmineo e accento deterrente. Così la semplicità è sempre rimasta la cifra di questi luoghi e di questi formaggi.

Lo stracchino è lo sviluppo del taleggio. Lascia perdere qualunque retaggio con le cibarie da scaffali commerciali e richiama le vacche stracche (stanche) che andavano o venivano dall’alpeggio e che facevano poco latte per formaggi a cagliata rapida, senza spurgo, da un’unica mungitura. Lo stracchino antico è lo stracchino a munta calda, cioè con un’unica mungitura. O la sera o la mattina. Rottura manuale della cagliata in parti abbastanza spesse e poco spurgo in modo da lasciare il formaggio umido e ricco d’acqua. Caglio di vitello, fermenti, salatura (su cui ci deve essere un’attenzione massima!… e forse ulteriore…) , stufatura di un paio di giorni a 20 gradi (che serve a non far “scappare” le forme… che scappano lo stesso), stagionatura, muffe e taglio. Pasta bianco candido, un filo di proteolisi nel sotto crosta, occhiature poco accentuate, poco asciutto e poco gessoso. Un filo di “banana” in bocca, balsamo e latte. È un formaggio poco serbevole con un’espressione massima molto legata ai gusti. La stagionatura cambia tutto. La povertà è tutta lì.

Matteo stagiona qualche formaggella e qualche formaggio di malga (che non marchia Formai de mut) dalle maggiori dimensioni e dall’affinamento prolungato. L’alpeggio però, e questo è un problema reale soprattutto dei nuovi malgari, è un luogo di formaggi freschi e vendite subitanee. Ci dovrebbe essere l’obbligo di sviluppare la stagionatura per qualche forma. Così, per vedere l’effetto che potrebbe fare…

Matteo è un lavoratore indefesso ma senza dogmi. Ha la libertà di gestirsi il proprio tempo e di scandire il proprio mestiere. Qui si vedono le altre montagne e gli altri alpeggi, qui non c’è tempo per le contraddizioni e per le gite fuori porta. Le bestie vanno accudite tutto l’anno, il bar-trattoria (dove lavora l’altra parte della sua famiglia) è uno di quei presidi di frontiera dove riposarsi senza troppi fronzoli, e il formaggio non lascia molto tempo per il desiderio o per scelte estreme. Qui, si fa così da secoli e si farà così tra secoli. Senza patina, senza poesia e senza vette dolomitiche. È tutto in due occhi trasparenti e sudati…

 

GIANFRANCO E MATTEO PESENTI

VIA TASSI 1

CAMERATA CORNELLO (BG)

 

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