Eccentrico pasticciere in convenzionale città… Riccardo Patalani

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Viareggio è una città consumata. Liberty, déco e bagni. L’Atlantic City di quella che non è ancora Versilia, con i suoi lasciti portuali, le passeggiate dell’epoca che fu e quel turismo nobiliare da tendone balneare a strisce che non è se non qui. È un mondo decadente di perpendicolari, arenili, pontili e forme eclettiche. C’è quel dadaismo senza pallore che ha fatto dell’economia l’obbligo sordido di quattro portuali. C’è chi ha fatto i soldi, c’è chi ha speso i soldi, il resto è bellezza e teli da mare sopra la spalla.

La Toscana marina, giocando sul lusso, manca di provvidenza. La gente appare, espone e compra. Non ci sono più i pensatori della sabbia. Ora sono rimasti solo gli scultori.

Le Alpi Apuane hanno determinato il percorso delle belle arti. Le proporzioni dell’Uomo Vitruviano e le prospettive di Masaccio hanno lasciato spazio al marmo delle cave. Qui, Riccardo Patalani, senza una necessaria fermezza risolutiva, ha deciso di mettere in mezzo la propria esistenza.

Pasticceria di famiglia che si perde nella notte dei tempi, lustrata fortunatamente dalle foto che fanno bella mostra sotto le travi in legno e gli ottoni di una medina mediorientale, con colori imperiali, intagli, archi e decorazioni moresche. Tutto sotto l’egida del mare, nei colori e nelle maioliche.

Riccardo ha sempre fatto il pasticciere, prima nei fine settimana, poi per pagarsi il proprio benessere, infine per pagare le tasse. È diventato scultore, o lo è sempre stato, sublimando lo scalpello in una spatola. L’estetica è diventata la porta d’ingresso dello stupore. Esami e concorsi potevano fermarsi nei minuti degli occhi sgranati, il resto, la fatica, l’educazione e la conservazione, l’ha dovuta imparare mettendo il talento all’interno di un procedimento. Riccardo, mancando di compulsione verso il sistema, verso la scientificità della ricetta, verso il necessario disporsi delle molecole, è un pasticciere devoluto-fuori dal sistema.

Tra Tom Waits e Diamanda Galas, il suo laboratorio ha la convenzione della precisione: pulito, piccolo e funzionale. Le sculture hanno il confine del deperimento. Niente cioccolato plastico ma solo cioccolato. E non sono un passatempo, sono l’integrazione di quella pasticceria da bilancia e ricetta che non lascia nulla all’estro.

La sua famiglia, tra gli anni ’80 e ’90, ha lavorato tanto e bene, ha messo da parte un po’ di tranquillità che Riccardo ha preso in prestito. Così, le sue scelte non si sono radicate in una pedissequa firma sulla testa dei rappresentanti, hanno provato a dare un volto e un nome alle materie prime più disparate. Prescindendo, almeno per la parte del capestro in piazza in cui tutti fanno il conto dell’ultimo dollaro, dai soldi da spendere. Fragoline di bosco di ragazzi collinari che si sono messi a fare vino in cornoletame e che, nell’attesa della prima annata, hanno cominciato a coltivare il sottobosco; uova di lusso, in trattativa, da galline felici; mele di Terricciola; miele di spiaggia, note amare che ricordano il castagno, del Parco di Migliarino-San Rossore; fiori eduli di Marco Camazzi per l’estetica senza necessità; prosciutto cotto della Macelleria Masoni; pinoli del parco e una ricotta di pecora in transito. Il resto è l’essenzialità dei prodotti di pasticceria: dal burro alle farine.

I lievitati sono un punto debole più concettuale che produttivo. Quella non è zona, lì non c’è tradizione. Bisognerebbe rimettere a nuovo il laboratorio per dedicarcisi. Ma non ha senso. Eppure continuano a tornare nel discorso. Senza ossessione ma con stima. Il lievito madre, legato dai corsi in Cast Alimenti, è lì e viene usato tutti i giorni. Misto (con una biga a temperatura controllata) per i croissant e poco altro. O no. Eppure continua a tornare nei discorsi. “Bisognerebbe trovare qualcosa come il giulebbe. Come ha fatto Paolo (Sacchetti)”. Si stacca. Pensa. Chi fa pasticceria, anche nelle tinte da macaron e da monoporzioni, non può prescindere dall’impiccio… così nell’intuizione più tenue, si dedica ad altro, almeno d’estate.

Macaron da materie prime irriguardose. Dalla menta ai pinoli fino alla banana. Con un filo di croccantezza in più, sarebbero compresi. Frolle di vari tipi, nocciole, farine deboli, savarin straordinarie, cheesecake a base ricotta, bignè allo zabaione umidi, pieni, goduriosi. La pasticceria di Riccardo ha le forme e ha i contenuti. Dalle pesche di Prato fino ai bomboloni. I suoi savoiardi si rimpiccioliscono, cambiano forme, diventano citrici ed estremamente spumosi. C’è tutta la tradizione, non ci sono contrasti estremi, non c’è ricerca del sale e dell’acido. C’è una concretezza che inganna l’occhio. La sua pasticceria è quella di suo padre e quella di sua madre, con quella punta di scandalo (esempio su tutti il panettone con i boeri a corredare) venata di forme e di colori.

Produrre con agio in una città turistica, senza memoria, con i cambi d’abito, con i clienti vezzosi, con i clienti senza domani, dove le tentazioni umilianti della fregatura sono dietro l’angolo, diventa l’espressione più laconica della verità…

 

PASTICCERIA PATALANI

VIA ZANARDELLI 183

VIAREGGIO (LU)

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