Torre Boldone è il primo rustico appena fuori Bergamo. Una di quelle località rarefatte e denuclearizzate, dove rimanere è più una facilità che una velleità. Sulla via Mercatorum, dove il boschivo è diventato agricolo, si è trasformato in fornaci svizzere, cristallizzandosi nell’urbanizzazione contemporanea senza più spazio per un orizzonte, Torre Boldone è diventata una concrezione di più rimasugli, un lascito geografico che lamenta se stesso. E così, con Bergamo dietro l’angolo, e le valli appena abbozzate, le fucine artigiane han preso l’archeologia industriale riattualizzandola sulla strada. E in uno di questi incroci di case basse, interpretazione del benessere, Ivan Morosini, da qualche anno, sta provando la sua strada verso una panificazione dal compromesso sempre più allentato.
La famiglia di panettieri non è stata comunque una costrizione, ha dovuto prendere il posto di suo fratello ma alla sua maniera. Ha fatto dei corsi con Giorilli a Bergamo, annusando la possibilità di una lievitazione altra. È entrato in Richemont, appoggiandosi a quei maestri riconosciuti e riconoscenti che non danno mai (?) nulla per scontato, e si è dedicato alla quotidianità e ai concorsi. Perché a Torre Boldone le soddisfazioni, attraverso la ricerca di antiche varietà di mais autoctoni, non te le puoi togliere. Il plauso te lo devi andare a cercare.
Ivan è una persona schietta come i suoi prodotti e come la sua voglia di aprire il laboratorio a tutti. Sabato mattina d’inverno e in mezzo a forni e planetarie c’è una jam session in opera. Due ragazzi molto giovani, con la voglia ancora di stupirsi e di ascoltare, stanno arrotolando la pasta sfoglia dei croissant, i familiari richiedono materia prima dalla bottega, astanti sorridenti fanno battute lascive, un trio di pizzaioli/pasticcieri/apprendisti entra per mettere a punto la propria pasta frolla per una festa paesana, Ivan incomincia ad aggomitolare la pasta dei cannoncini, io scorro domande e cerco di evitare burri e mieli, poi gli stessi diventano assaggiatori, si discute e si prova un’evoluzione, contando su un panificatore particolarmente preparato sulle dissidenze e sui bilanciamenti. Il suo lavoro parte dal pane, dalle idratazioni, dalle tecniche e dalle autolisi, per arrivare alla pasticceria da forno, cercando un mantenimento di qualità e un’unica precisa regola: si vende solo quello che si produce tra quelle mura.
Il lievito madre è mantenuto liquido, i suoi pani (da quello prodotto con sfarinati bergamaschi al Kamut fino a quelli con le olive o con le uvette) hanno croste ben definite – farine classiche, forza o meno forza, pochi angoli oscuri e una ricerca di retroguardia sui cereali -, non spingono particolarmente, le acidità sono pressoché assenti e la masticazione è molto buona. Un pane contestuale senza eccedenze. Quelle sono regalate ai croissant, particolarmente ben fatti, e ai grandi lievitati che, anche dopo un mese, chiaramente senza emulsionanti, mantengono ancora buoni profumi su friabilità chiaramente più accentuate.
Ivan Morosini ha dalla sua parte l’umiltà dell’ammirazione, quella che ascolta gli altri e quella che mette in dubbio. E questa è l’unica maniera dalla provincia di attirare l’attenzione di quel ridicolo metropolitano sempre alla ricerca dello stupore. Perché Torre Boldone è uno di quei luoghi indistinti e rudimentali dove fare quell’artigianato di rimessa, rimasto senza pre(post)sunzione ai tempi degli insegnamenti nelle scuole alberghiere e al cibo come forma di nutrimento e non di meraviglia…
PANIFICIO MOROSINI
VIA ROMA 2
TORRE BOLDONE (BG)