Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre

favre

Ayas. Un’estate che non vedo se non attraverso vecchie fotografie di un borgo recuperato. La valle più bella della Val d’Aosta. Almeno così nei racconti. L’immaginazione è quella di un luogo molto oltre i suoi duemila metri, i borghi recuperati e la pietra a vista. Le caratteristiche abitative non appartengono ad un invasione ma ad una collisione. Legno, roccia ed erba. Fuori e dentro la casa. Con quei pascoli che si vanno svuotando, rendendo l’oltre impossibile. Il cielo è il limite e così le vacche mangiano il mangiabile ridando indietro un po’ di Sicilia e un po’ di Irlanda. Ma questo è inverno e c’è ancora, rarità nella rarità, chi ha deciso di produrre il proprio formaggio solo in alpeggio. Quattro mesi all’anno o poco più. Il resto è una transumanza, meditata dagli anni che passano, verso un luogo e verso una professione che è diventata casa nel corso degli anni.

Ivrea. Torre Balfredo. Un sistema di cascine adibite ad appartamenti. Poco verde e un laboratorio dove i fratelli Favre, Leandro e Mario, da una vita, producono i sabot in maniera artigianale, lavorando il salice e il pioppo, in quel folklore che è ancora lavoro e surrogazione. Lo stivale diventa forma e fatica. Tutti i giorni. Con quel legno che diventa macerazione e consumazione. Così, unici tra gli unici, portano avanti l’inverno, con un po’ di mungitura, una stalla irrappresentabile e un’attesa dell’estate che è continua procrastinazione. Ferdinanda, la moglie di Mario, spera che tutto questo abbia un termine, ma per ora abbozza un sacrificio.

Mario, aiutato da Leandro, fa formaggio dalla notte dei tempi. Loro padre decise che la Val d’Ayas sarebbe bastata per l’estate, il resto del tempo si doveva concederlo alla pianura, quella che annoia, quella che taglia e quella che non è più valle. Mario, oggi, fa un formaggio parzialmente scremato e il conseguente burro d’affioramento. Niente altro, niente ricotta (perché il siero va ai suoi maiali, anch’essi d’alpeggio), niente Fontina e nessuna aromatizzazione privativa. Lui produce toma. Niente Gressoney, nessuna caratterizzazione. Una toma di valle che abbia la certezza di una caratteristica: quella della sopravvivenza. Una bontà povera senza nessuna patetica patina comprata alla Metro. La sua pasta è lievemente pressata, semi-cotta, morbida al punto giusto e sempre a rischio attacco acari. La crosta passa dal grigio al giallo, è molto carica di umidità. Una punta ammoniacale che svanisce nell’unghia. Alveolature lunghe e strette, masticabilità perfetta, un retrogusto amaro di erba e un lattico che sparisce nel corso dei mesi. La stagionatura perfetta dell’alpe viene proseguita a fondo valle senza troppe preoccupazioni. Il tempo è andato, il formaggio è buono e profondamente antico, abbarbicato a quei solidi appigli che la clientela ha sempre richiesto e sempre continuerà a chiedere. Perché la toma d’alpeggio deve sempre sbalordire la borghesia, almeno in una cena a base di racconti di sub-dotati e vite talmente lontane che si può solo tenerle sotto controllo. Perché, lì, in alpe, c’è bisogno di sapere che la differenza ha sempre una commistione dentro la merda. Tutti devono essere sporchi, in modo che la compassione sia definitivamente compromessa. I Favre, dal canto loro, vanno avanti per una strada che non ha molti punti in comune se non tra i malghesi.

Sabot e tome sono la rappresentazione benefica di un mondo che è rimasto alle origini e che non avrà futuro, perché i loro figli hanno preso strade più contemporanee in luoghi più contemporanei. Così rimarrà un vuoto di professionalità e di artigianalità, in una di quelle valli che vengono prese troppo per folklore e molto poco per necessità. Perché qui non è una questione di punti di vista, gente come Mario Favre, che del rapporto dialettico e assolutamente paritario con sua moglie potrebbe insegnare gioventù, è un uomo di una vitalità pregiata e di un documentarismo territoriale che non rilascia altro se non tranquillità. Sono sguardi sereni di persone compiute e consapevoli. Hanno creato un’esistenza e hanno deciso di non svenderla… tutto lì…

 

MARIO FAVRE

FRAZIONE CUNEAS

AYAS (AO)

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