“Torno ad essere un pasticciere”… Carlo Pozza

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Arzignano è il paese delle conce e dei capitelli votivi. Aziende e religione sono sempre andate a braccetto in un luogo dove rimanere sembrava l’unica soluzione. L’unità sociale e l’unione con il territorio sono state qualcosa di assolutamente programmatico. Appena varcata la soglia, si è invasi dall’odore dei pellami trattati, poi è tutto una questione di case basse e ricordi sbiaditi. Questo è un paese come tanti, che ha avuto la fortuna di identificarsi con una produzione, in quel reiterarsi del tempo che, per quegli artigiani che han preso un condominio poco più raffinato di un prefabbricato color avarizia facendolo diventare un luogo di culto laico, al di là di tutto, è diventato una costrizione gastronomica a superare le idiosincrasie. Questo è un posto di riconoscenza sbiadita, che oltre il lavoro ha costretto i cittadini di fronte al bivio irrisolto del desiderio da espletare… e così la pasticceria della famiglia Pozza si è trovata invischiata in mezzo alle cattive abitudini.

Venicio è stato l’erede di una tradizione di panificatori montani cresciuta con la guerra e con i dolci da forno serviti alle truppe militari americane di stanza nel vicentino. Così quando la millefoglie è diventata un’esigenza da portare fuori, il pane si è trasformato nella possibilità di una pasticceria. Venicio è cresciuto, ha trovato in Arzignano un’opportunità pedemontana e si è stabilito. Emblema di un non paese dove il figlio Carlo ha preso la fama del padre, traguardandola oltre la crisi.

Quando Venicio fu invitato a creare l’Accademia dei Maestri Pasticceri, ad inizio anni ’90, decise di mandare il figlio poco più che ventenne. Lui ne avrebbe fatto parte, senza altre questioni. Carlo doveva essere il futuro della pasticceria Pozza ma Venicio sarebbe rimasto come guida e come insegna. Uno straordinario pasticciere di mani, che ha insegnato a mezza Vicenza a fare i dolci. Così senza dogmi, senza sofismi e senza tecnicismi.

L’ingrandimento ha portato ai primi dubbi. In Italia, per sopravvivere, i grandi pasticcieri al banco dei dolci han deciso di affiancare la caffetteria, Carlo ha fatto il percorso inverso. Ha deciso di liberarsi di una zavorra, di un luogo diventato maleodorante più per i costi che per le conce. E così ha trasferito laboratorio e bottega in un luogo più sostenibile. È tornato a fare il pasticciere. Sua moglie dietro il bancone e lui e la sua squadra dietro le spalle ma sempre a vista. In un luogo da affinare ma assolutamente differente.

I dolci hanno una particolarità tradizionale difficile da ritrovare altrove. Il mais Marano e la grappa vengono miscelati nella Gata, il recupero di un futuro dolce vicentino, con una territorialità e una giusta misura di contemporaneità: burro, miele, latte, mandorle e cacao, una confezione elegante e un prodotto iconico (anche nella versione monoporzione). Carlo crede a suo padre Venicio e continua a rielaborare l’antico, senza necessariamente affidarsi. La brioche viene tirata e intrecciata (ricordo di una Challah), in modo che possa surrogare il biscotto nella colazione, il resto è festa e rinnovamento della tradizione: i grostoli e i galani sotto carnevale, il pandoro, nato dalla ricetta di Gianni Tomasi, a Natale, il panettone quando si riesce a penetrare nell’inossidabile cultura locale, l’esplosione del cremino con crema pasticcera e mandorle che ha reso famoso suo padre, i canelè di Bordeaux che diventano mignon destrutturati, le tartellette estremamente raffinate, una crema gialla dove l’uovo è l’emblema più profondo di una terra che nasce povera, una sfoglia che rimane un filo indietro nella friabilità, e un pane a lievitazione mista il sabato e la domenica mattina.

Carlo ha deciso a quali compromessi scendere per non rimanere investito dall’irrealtà. Ha cominciato una collaborazione con i Molini Agugiaro, ha ristrutturato, insieme a sua moglie, esteticamente perfetta nella gestione di cliente e prodotto, la nuova pasticceria, ha continuato il suo lavoro sul lievito in acqua, ha scisso il dolce dal cappuccino (e così la maggioranza dei clienti comprano i croissant e se li fanno incartare) e ha ridato ad Arzignano un pasticciere profondamente legato alle proprie mani e al proprio lavoro. Carlo è di una gentilezza candida, rimane sotto traccia e lascia che sia il dolce l’unico e reale discrimine. La sua pasticceria non è fine a se stessa, non deve stupire e non deve necessariamente far risaltare i contrasti. È un luogo dove la semplicità ha ancora un sapore sostenibile. E noi non ce ne accorgiamo neanche…

 

DAVENICIO PASTICCERIA

VIA PAGANI 29

ARZIGNANO (VI)

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