Valle San Felice, comune di Mori, propaggini della Val di Gresta, dove il distretto del biologico ha portato un nome prima di qualunque discussione. Un luogo mitigato e terrazzato dove i paesi diventano frazioni e le frazioni non superano mai il nitore. Qui ci sono poche cose definite, il bar, la banca, la fontana, il centro, l’acciottolato, i bambini, le sigarette e il caldo. È difficile prescindere dall’incontro e dalla richiesta, è tutto così facile, pieno, quasi fiabesco. I posti sono di un moderno decadente, anima puerile di un tipo di architettura tragica, quella che non progetta il futuro ma lo preconizza. È un biologico desueto, con nomi anacronistici e coltivatori di cavoli sostenibili. Qualcosa pre-armonizzazione e pre-comunicazione. E così le barbe lasciano ancora il posto alle rughe. Da queste parti una ragazza etiope ha imposto il suo credo e il suo allevamento come deterrente naturale all’abbandono, facendo della sua storia il paradigma di un racconto che ha solleticato le parole di molti…
Agitu Ideo è arrivata in Italia come studentessa universitaria. Prima Roma e poi la laurea in sociologia a Trento. È tornata in Etiopia per portare un progetto sulla sostenibilità dell’agricoltura e sulla possibilità di scavare pozzi, insegnando alle popolazioni locali l’opportunità della terra. Ma il regime non le ha dato tregua. Migliaia di persone hanno cominciato ad essere arrestate, le terre sono state espropriate per ridicoli corrispettivi, decine di giovani sono spariti nel nulla. I contadini sono stati depredati della propria terra e deportati nel nulla, in un silenzio assenso molto al di là dei villaggi senza sanità e senza cibo. Terre da dare a chi? Per fare cosa? La realpolitik è talmente cara alla mia desuetudine che posso tornare a credere che una ragazza, in una notte pulp, è riuscita a percorrere la strada tra Addis Abeba e Nairobi in macchina, per ritornare in quel paese che l’aveva accolta e da cui poteva tornare a gridare la sua rabbia e quel disumano, interdetto tra le righe di giornalisti e narratori di ovvietà, di vedere i propri amici sparire sotto gli occhi. La correità occidentale è la stessa… nel male e nel bene. E così da carnefici siamo diventati vittime per ritornare carnefici. Agitu lo sa meglio di tutti.
È rientrata in Trentino per progredire, allevare e urlare quella rabbia che la libertà di opinione e di stampa, al di là di tutte le classifiche internazionali e di quello provato sulla mia pelle, qui in Italia le ha permesso come una consapevolezza.
Appoggiandosi all’università, ha trovato un terreno abbandonato in Valle Gresta dove ha cominciato ad allevare le capre di razza Mochena, ormai quasi estinte. Da poche unità fino alle settanta attuali (alcune camosciate), tutte al pascolo, in quella transumanza continua figlia di un nomadismo che la rappresenta al di là di qualunque coercizione. E così la mungitura manuale si sposta nei prati, la stabulazione non è nemmeno una stalla e il latte è molto meno della produttività di una Saanen o di una Camosciata in mezzo al fieno. I formaggi hanno un vissuto al di là della storia. L’esperienza francese ha portato lunghe proteolisi e croste fiorite. Le forme sono rimaste grandi, sostenibili figlie di un’agricoltura povera. E così la lattica diventa presamica e le celle delle cantine. Latte crudo di solo pascolo tutto l’anno (eccezion fatta per la lunga asciutta), fermento auto-prodotto, innesto di penicillium per i suoi erborinati, sale particolarmente controllato e pulizia fuori da qualunque logica. Il suo formaggio, con l’unghia mantecata e la pasta finta gessosa, in bocca è un fiume. Lungo, con dei retrogusti straordinari, vittima di una percezione sbagliata che ha slegato me e Agitu nel nome dell’unico Dio. In quel momento diverso per entrambi.
Al di là dell’idolatria di cui tutti siamo vittime, il suo passato sparirà tra la carta straccia e l’indolenza dell’intelletto europeo, accomunante per definizione, il suo presente, con quella corte trentina diventata vetrata e tavolo per le degustazioni, ma soprattutto il suo futuro, con lo straordinario nitore dei suoi crottin, delle sue croste lavate e del suo latte biologico, sono e saranno l’urlo più feroce contro la dimenticanza, il momento della disillusione che ritorna illusione e l’esempio civile di qualcosa che vada oltre il rumore. E Agitu, così, potrà tornare a dare quella libertà richiesta e necessaria…
AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICA LA CAPRA FELICE
PIAZZA SAN FELICE 5
MORI (TN)