Magari fossimo a Vesime! Mi fermo in un “pittoresco” bar di paese e chiedo. Dove le indicazioni per il bagno han bisogno di tempo e dove Tony Manero, in dolce compagnia e in lizza per il concorso “Non si uccidono così anche i cavalli”, pensa, entrando nella trama di Footlose e spedendomi direttamente verso sinistra. Mentre le varie partite di tre sette sono commistionate ad improperi.
La macchina inizia a salire. Supero Agrilanga (che mi persuade il giusto…) e arrivo in una fattoria tenuta in maniera disgraziata. Un accento non piemontese mi rimanda dove avevo provato a sfasciare la macchina. Api, roccia, odore di merda e una natura assalente, quasi disturbante. Una di quelle che ti fa provare nostalgia per l’impossibilità di avere un tempo indefinito per cullarla. Mi sento lontano, ho sensazioni di abbandono.
Arrivo alla cascina di Roberto. Sento le pecore belare dentro la stalla ma alla porta non risponde nessuno. Il cellulare suona a vuoto, probabilmente “a disperso”. Il mio senso d’ansia si acuisce. Ma non per i kilometri percorsi a vuoto, ma per un senso d’impotenza verso uno spazio che non conosco. E che mi fa sentire fuori. Dagli schemi della mia monotonia, dalla montagna e dalla sua pace, dalla collina e dai suoi vigneti. In mezzo ad un solco che non riesco a definire. Quasi inquietudine verso un indefinito che mi sovrasta. Quasi quanto le facce sudate dei miei compagni di viaggio che chiedono requie e comprensione per i loro bisogni. Mi adeguo. Faccio una telefonata all’Agriturismo gestito dai genitori e mi topografano delle coordinate geografiche dove trovare Roberto impegnato a fare fieno con il suo trattore. Mi addentro. Le strade mi sono ostiche. Non mi lasciano sensazioni piacevoli, ma quasi una sterminata vertigine. Un altipiano orrorifico, per la vacuità di un sentimento semplice: angoscia.
Sul punto di mollare l’obiettivo, ce lo troviamo davanti, in dolce compagnia, arso dal sole e con il fieno a riempirgli lo sguardo.
Lo seguiamo e rientriamo nei ranghi. L’isolamento ha in sé qualcosa di fascinoso e di tormentato e lo sguardo di Roberto pure. Io ho bisogno di dieci minuti per farmi catturare. L’ansia decade, l’inquietudine spezza le catene e l’angoscia riflette lo specchio di qualcun’altro.
Roberto ha una storia da bar dello sport, schedina in mano e chiosco delle bibite su una spiaggia di Santo Domingo pronto ad accdere se solo…
I suoi genitori, Milano, il suo stress, i suoi ritmi e le sue convinzioni, li hanno abbandonati davvero. Per la campagna. Una fantasia diventata scelta e trasformata in realtà. Sicuramente più idionea e sicuramente più coraggiosa. Sul valore e sulla bellezza, l’animo umano ha un custode, chiamato intimità, che non punge la mia vaghezza così a fondo.
Prima di arrivare in campagna, Roberto è partito per l’Irlanda ad imparare l’allevamento delle pecore. Una volta tornato, sposatosi e messo su qualcosa che lo richiamasse alla terra e qualcosa che fosse di supporto all’agriturismo, contattò (o lo trovò ad un mercatino… il passaggio è nebuloso ma lo tengo in un cassetto come immagine da non defraudare e nemmeno inverare…) il grande Silvio Pistone. Quel pastore a cui bastano trenta pecore per trasformare un formaggio nel sentore di qualcosa di perduto. E Silvio ricambiò l’interesse. Gli mostrò e si fece mostrare. Il futuro di Roberto sarà una cantina (per ora abbiamo una cella frigorifera, estremamente piccola e una proteolisi schizoide che non lavora come dovrebbe)…
La purezza dei formaggi di Roberto (che, insoddisfatto – come molti – dal conferimento del latte, si è costruito una stalla dove preservare le sue pecore di razza langhetta) richiama il diafano, la luce dell’avvenire e qualcosa di profondamente religioso. Non ci sono bizantinismi, non ci sono stagionature, manca totalmente una base teorica (gli errori sulla ricerca della proteolisi della crosta e sulla mantecazione della pasta lo hanno condotto verso un altro, assolutamente squisito, risultato…), i mezzi per giungere ai fini li trova per strada, a volte per caso (come quella forma dimenticata avvolta in una carta che iniziò, magicamente, a macerare…), a volte in maniera rapsodica… Quello che, però, non si può insegnare ad un casaro è il bianco. Quello non si cerca, quello è insito nella moralità dei procedimenti… Il gusto può sempre essere ingannato (a volte con la vaniglia truciolata, a volte con la pastorizzazione o con l’acarofilia), ma l’ammissione della “mancanza” è sempre un atto di fede. E come non abbandonarsi alle sue lacune…!
I formaggi di Roberto sono quanto di più lontano dalla suadenza. Nella freschezza controllano alla perfezione l’acidità. Quelli prodotti in giornata, addirittura, hanno quella profondità (che toglie indubbiamente leggerezza al fresco) della pecora, ma senza quell’astringenza così comune nei medi caseifici di provincia. A distanza di tre-quattro-sette giorni, le sue robiole (lavorate secondo la metodologia della Roccaverano, con una cagliata lattica – ancorchè un minimo di caglio animale gli viene aggiunto, ad acidificazione esaurita – e con pochissimo siero spurgato – e quindi nessuna ricotta -…) iniziano a prendere sentori e aromi tipici della terra. Dalla banana al fieno fino alla nocciola. Con quella piccantezza che allieta il retrolfatto. Nella sua maturazione oltre i venti giorni (in quella che non riesce a trovare la mantecazione della pasta), la secchezza della crosta, disegnata dall’incedere delle muffe, il giallo paglierino e la coesione della fermentazione, che rende cremoso il formaggio al palato, regala gusti e aromi fortemente saporiti, sapidi, quasi piccanti, con retrogusti floreali ed estremamente freschi. Qualcosa di assolutamente strano, di assolutamente raro e di assolutamente buono.
Dopo un giro nella stalla e una promessa di barbecue, Roberto mi saluta. Metto in saccoccia un paio di pezzi di agnello (senza la sbrodolatura della lode, ma la spalla stufata al rosmarino rimarrà un ricordo indelebile…) e mi avvio in quelle strade un po’ più luminose. Roberto mi ha tolto un po’ l’ansia da predizione seriale e gli ha dato un gusto. Tanto basta!
CASCINA CAMPAGNA
REGIONE BOSCAZZO, 6
VESIME (AT)