Viti e meleti possono salvaguardare il territorio… Valerio Rizzi

Cloz. Terza sponda della Val di Non, dove la Melinda è reggente unico, autoritario e ormai indulgente. Un territorio consorziato a partire dalle facce, in cui l’ingerenza industriale ha solo mostrato un volto più affine alla natura e l’uomo ha imposto il suo unico credo: filari, pieno vento e fusetto. Il meleto non ha dato scampo quasi a nessuno, la monocoltura, intervallata da qualche vigna di Groppello, rappresenta, senza maniera, il postulato di un luogo che ha svenduto i gelsi a causa delle malattie e ha preso le potature e le serie come forma di rinascita. Seimila agricoltori consorziati e denominati. Operai delle colture che al posto delle catene di montaggio mandano avanti indifferentemente una regione all’interno di una regione. La Val di Non come l’Alsazia come il Bacino della Ruhr, imposizioni umane… troppo umane. Fabbriche di frutta che hanno ripudiato da tempo il paesaggio, prima di tutto, e l’individualità, in seconda battuta, non dimenticando nemmeno per un istante le mode. E così il biologico si è insinuato negli arrovellamenti dei carri armati consorziati, cominciando a produrre le prime gemme molto al di là dell’imposizione territoriale. Da qui parte la nostra storia…

Valerio Rizzi arriva da una famiglia di agricoltori, da queste parti le mele non sono né un’esigenza né una domanda. Tutti, anche i postini, hanno il loro filare. Golden, Florina, Renetta, Stark, qualcuna più antica, dentro il consorzio con il principio del biologico. In conversione. Un succo particolarmente denso, profumato e con un’aromatica molto particolare, un distillato di renette fantastico. Entrambi prodotti fuori azienda. La trasformazione ha bisogno di mani e lavoro. E lì, per ora, c’è solo lui. I suoi figli sono su strade meno lastricate o sono troppo piccoli. E il tempo dell’agricoltura può al massimo combinarsi con una sola trasformazione. E così, poco più di dieci anni fa, Valerio ha deciso di prodursi il suo vino e di trasformare le vecchie stalle di famiglia in cantine di invecchiamento e di stagionatura salumi. Gli araldi sono stati riportati agli albori e il Groppello di Revò è tornato a fare capolino in mezzo ai meleti. La sparizione è stata una coercizione e così a qualcuno in Val di Non ha cominciato a non andare più troppo bene. Nessuna botte e nessuna barrique. Solo acciaio e recupero. A 700 metri si è messo anche a cercare le vigne antiche pre filossera e pre “meleficazione”. Ne ha trovata una di moscato bianco a Brez. 50 litri l’anno. Il bianco della Nani e la piazza del paese. Oltre la leggenda perché non narrata nemmeno più. Muller-Thurgau sulle ripe che entrano nel parco fluviale del torrente Novella, Pinot nero vicino al paese e Kerner bianco oltre gli 800 metri. Vendemmie tardive che si susseguono fino a metà novembre, il Groppello diventa in bocca un vino estremo, con tannino acidulo e erbe selvatiche preponderanti. La sua misura è essere spigoloso oltre misura. Il vino di un contadino che, nella sua espressione contadina, non ha permesso la santificazione e l’uniformità. Valerio rispecchia il suo lavoro di agricolo nella trasformazione del maiale, nella collaborazione per coltivare i cereali con Georg Weiss, nel rapporto con i casari, nello stare all’interno dei consorzi nonostante un pensiero, ed esprimendo con le mani il tempo, che non è mai diventata una degustazione di otto mesi all’anno dove la chiacchiera è già vendita e le facce degli astanti si compiacciono nel sentire aromi di materassino srotolato. I trattamenti, che nei melindeti non si contano nemmeno più per quanto dissepolti, qui sono rimasti esigui, necessari, con sfalcio a mano, in quel periodo di conversione che è tempo rubato al tempo.

Questi sono luoghi profondi perché non meditati, c’è una sincerità riottosa che nel vino non ha nemmeno la continuità del rumore. Il vaniloquio muore e appare la terra in mezzo alle fabbriche della terra stessa…

AZIENDA AGRICOLA RIZZI VALERIO

VIA GEMBRIN

CLES (TN)

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