Recco. Ennesima insenatura del Golfo del Paradiso ed ennesimo borgo marinaro che ha creato nel tempo la sua epica e la sua leggenda. È uno scorrere di volti risentiti, di turisti soliti e di attività che non hanno mai cercato la compiacenza. L’architettura è diventata un modo di sovrapporre case e le strade, impedite dal mare e dalla montagna, hanno portato l’asfalto a mezz’aria. Ci si guarda poco perché non ci sono molti riscontri, i recchelini hanno risposto a delle necessità e al bisogno di sottomissione della metropoli, han ridato indietro un linguaggio proprio, una carica d’ironica ruvidezza e quella voglia di evadere il desiderio, compresso dalle cravatte, che nella vicinanza ha trovato l’unica impronta d’interesse. Recco è a metà strada della bellezza, dove non ci sono troppe cure oltre l’imposizione di una propria identità e così attende sempre gli stessi volti, proponendo sempre la stessa strofa. Nella semplicità dell’incantatore risiede il segreto perverso della definizione. Focaccia, mille versioni, ma focaccia. Le cipolle per la colazione, la genovese per l’abitudine, il formaggio per la licenziosità. E quale luogo migliore del Panificio Moltedo può rispondere a quel desiderio di manitoba e stracchino, anonimato nell’anonimato, da cui è impossibile sottrarsi? Continue reading La focaccia di Recco ha pochi dubbi… Panificio Moltedo
Mese: settembre 2017
Basi rivierasche per un gelato solido… Matteo Spinola
Chiavari. Paesaggi di riviera disinteressati, promontori in lontananza, persiane verde scuro come da retaggio marinaro e un centro storico da far invidia al prestigio di città adiacenti che certe piazze se le sognano. Eppur c’è un inverno. Questa è la meraviglia di una Liguria che si richiude su sé stessa, tra portici e volte, biciclette e strade che non hanno un’ortogonalità nemmeno come forma di riflessione. Il lungomare è occupato come un’assenza, come un forestiero e come un’eccezione. Il resto è ipocrita cattiva mescolanza. Persone straordinarie si richiudono e la famigerata ospitalità ligure arriva a chi di quell’ospitalità non ne può fare a meno. La borghesia commerciale di riviera si è solo un po’ incanutita, ma è rimasta piegata su tradizioni e sguardi che arrivano sinceri, antichi e assolutamente anacronistici. Lontano dal mare e dalle valli, la Liguria esprime sempre una signoria velata dietro i tendaggi, ma è estate e così sto vicino alla sabbia e cerco un gelato… Continue reading Basi rivierasche per un gelato solido… Matteo Spinola
Tra gelateria e lievitazione, soluzioni polimorfe… Ivan Gorlani
Tra Monza e Verolanuova. Su quella Bre.Be.Mi. priva di senso e di macchine, la pianura non ha più un trascorso, le attività sono state divelte, il passaggio non è stato nemmeno alterato, ma definitivamente incastrato all’interno di una logica urbanistica che nella pianura ha visto solo terzo Paesaggio. Frammenti indecisi e migratori che non hanno più nulla di stanziale, dove si pagano pedaggi per allontanarsi e avvicinarsi al terzo Stato, a quella borghesia commerciale centripeta e costosa. Così Monza, satellite eletto, può ben rappresentare un nuovo luogo di fuga, una nuova maniera di vedere l’ineluttabile e il non circondabile. In queste città di provincia, che sono monumenti del mai portato a fondo, si possono ben spendere i propri soldi nei mesi invernali e ormai nei mesi estivi. E non ci si chiede più quale desiderio possa percorrere decine di kilometri in mezzo alle brume. L’espansione è un atto di vicinanza. Continue reading Tra gelateria e lievitazione, soluzioni polimorfe… Ivan Gorlani
Scegliere la materia prima è l’unica strada per l’identità…
Quale? Una semplice domanda che marca e pone le differenze. In pochi luoghi al mondo si riesce ad andare oltre al piatto tipico e al prodotto tipico, oltre la regione e la zona di provenienza, in pochi posti al mondo la qualità diventa la proprietà di una identità. Mi spiego, il pesce pescato a Kanazawa andrà a formare un pasto Kaiseki straordinario, dove gli anni di apprendimento, dedicati a tagli, cotture e messa nel piatto, adegueranno il piatto verso la perfezione. Il tempo e la fatica applicano una radice quadrata alla conoscenza, la scompongono, rendendola minuziosa, complessa eterogenea e articolata. L’approccio qualitativo crea l’identità di un luogo che riesce a sfuggire al concetto di prodotto tipico. A Kanazawa si mangia questo, a Bayonne si mangia il prosciutto, a Bologna il tortellino, a Palermo la cassata e a Monaco di Baviera il brezel. La facilità è già viaggio ed è appena prima dell’interesse. La facilità crea la definizione che solleva l’uomo dall’istintualità della paura. Creando ripetibilità ma anche assuefazione. Così un giorno, per caso, m’imbatto in Aimo Moroni, una storia diversa e un cuoco stellato lontano dal firmamento. Continue reading Scegliere la materia prima è l’unica strada per l’identità…
Ai Piani di Bobbio si può anche alpeggiare… Simone Bergamini
Piani di Bobbio lontano dal fracasso sciistico. Meno accenti milanesi e meno presunzione, una ferrovia che porta su, una montagna facile, che spiana, che non gela troppo e non si allontana dai sentieri, luoghi che si sono trasformati in rifugi dove folklore e polenta sono diventati l’ultimo dei retaggi. Chi voleva lavorare, trovando erbe da pascolo e non da trekking, si è dovuto spostare altrove, in valli laterali più portate e più pronte a ricevere sudore al posto delle borracce. Ma come tutte le regolarità, anche qui c’è la necessità di qualche eccezione, un paio al massimo, forse una. E così appaiono delle pezzate rosse al pascolo, dei massi, qualche fiore e delle stanze di caseificazione. Qui Simone Bergamini ha deciso di trascorrere le sue estati. Continue reading Ai Piani di Bobbio si può anche alpeggiare… Simone Bergamini
Il casaro speleologo… Dario Zidaric (di Laura Filios)
A destra l’Adriatico, piatto e lattiginoso, a sinistra le vie che salgono fino all’Altopiano. A metà strada il profumo di salsedine che inizia a confondersi con quello dei boschi. Querce, frassini e betulle. Il Carso è una conformazione geologica, grotte che corrono sottoterra per chilometri e chilometri. Ciò che per qualcuno è l’inizio per qualcun altro è la fine, e viceversa. Ma anche uno stato dell’anima. Forse ancora di più in provincia di Trieste, terra di confine tra mare e montagna, Italia e Slovenia, Storia passata e presente, tra sopra e sotto. Ed è proprio “da sotto” che arriva uno dei formaggi più unici che rari del panorama caseario italiano. L’inventore è Dario Zidaric, “colui che entra in grotta”, proprio come il suo “Jamar”. Continue reading Il casaro speleologo… Dario Zidaric (di Laura Filios)
Monte Agrella: quando basta uno sguardo… Attilio Melesi e Mirko Vittori
Primaluna. Al confine tra una natura che ancora si adopera a mettere radici e un modello fabbrica tra lo sbiadito e il sepolto. La Valsassina è una valle incompleta che i milanesi hanno tentato in tutte le maniere di rendere più gretta mentre i locali l’adattavano ad un’operosità che, nel taleggio, nella sua promozione e nella sua irrispettosa prepotenza, ha avuto la sua più concreta rappresentazione. Queste, ormai, sono strade di compratori di formaggi padani, finte grotte e affinatori dal fermento lavato. Bisogna impegnarsi per andare oltre lo sproposito, tornando alle cose semplici, all’allevamento e all’agricoltura, bisogna mettere da parte la necessità del ritrovo comune, per fuoriuscire dal coro, magari attraverso coltivazioni tradizionali fatte con un garbo diverso, magari semplicemente con degli sguardi più autentici. E stavolta sono fortunato: ne trovo due. Quelli di Mirko Vittori e di Attilio Melesi, giovani rutilanti… Continue reading Monte Agrella: quando basta uno sguardo… Attilio Melesi e Mirko Vittori
Pastori sardi nella Romagna Toscana… Salvatore Urrai
Tra Tredozio e Marradi, sul confine tra Romagna e Toscana, al culmine del Monte Collina, definizione perfetta per modi ed altezze, una strada bianca di tre kilometri squarcia bosco e cielo, lasciando l’impressione di un orizzonte giallo ocra. Mentre il sole cala e i dialetti vanno a farsi benedire, i territori di Tredozio e di Marradi scompaiono tra gli stessi volti palindromi. Qui l’identità è una cosa sfuggente che è sfuggita di mano. Si sale da Faenza, s’incontrano frutteti a perdita d’occhio, la valle si chiude, non si superano i 300 metri ma s’incomincia ad annusare la montagna. Le ombre creano il disincanto mentre si arriva a Tredozio; tra il fiume, le case in pietra e i giardini all’italiana, si superano i ponti e si cambia regione. Le strade bianche segnano il passaggio, l’assenza di cartelli e la vaghezza del bosco fanno il resto. Qui, fino agli anni ’20 era tutta Toscana. Una Toscana isolata, al di qua della soglia, dove il sole batteva altre necessità. E così gli abitanti della valle del Tramazzo, al di fuori delle vie di comunicazioni, han sempre cercato di sovvertire l’ordine costituito. Ci ha pensato Mussolini a mettere il punto. Tredozio entrava a far parte della Romagna insieme ad altri dieci comuni, per due ordini di motivi: ingrandimento del territorio e inclusione della sorgente del Tevere, “fiume sacro ai destini di Roma”, all’interno della provincia di Forlì, la stessa che ha dato alla luce il Duce. Continue reading Pastori sardi nella Romagna Toscana… Salvatore Urrai