Fico il ruolo dell’affinatore. Prende i formaggi da giovani, li coccola, li fa crescere, li accarezza e poi li mette in vendita, facendo pagare il tempo trascorso, le mattinate a girare forme ma soprattutto la perdita di peso. Identifica i formaggi della propria valle (quando va bene… ed è veramente raro) e sceglie i più buoni, ma soprattutto non fa quasi mai il nome del produttore da cui li ha presi. Segreto del mestiere. Mica che poi ci si trova un collega che ha il cappio un filo più lasco e gli frega tutta la mercanzia. Alla fine, latte crudo, latte termizzato, latte pastorizzato a chi fottono? Importante sono le foglie di castagno, le vinacce e le dimensioni. Basta vedere i formaggi che vincono le competizioni in giro per il mondo. Più piccoli sono e più il cromatico minimalista urbano avrà facilità ad identificarli. L’affinatore non è ANCHE un commerciante è PERLOPIU’ un commerciante con IL presupposto (in quanto presunto…) che la maggior parte dei casari/allevatori non sappia stagionare il proprio formaggio. Così il salvifico stagionatore arriva e, tirando il prezzo al limite della respirazione, non può fare altro che garantire che tutta la casera (forme belle e forme brutte… tanto il come venderle è arte della casa…) sarà preso in mano per tutta la stagione e per quelle a venire.
“Tu non ti devi preoccupare della stagionatura, della perdita di peso, della vendita… ci penso a tutto io… anche al prezzo…”. “Noi diamo ai formaggi una seconda vita. Loro (gli allevatori ndr) non sono capaci a stagionare” (Relazioni portanti di dialoghi svoltisi sul Lago Maggiore, regno impuro di caseifici e affinatori dalle cantine ammoniacali). Bisogna pur trovare la chicca per vendere. Ridare indietro un nome che deve essere già un mercimonio. Che figata la Toma dell’Orologio o il Pecorino affinato nelle foglie di tabacco!!! Pensate a Roccaverano e ai danni fatti: ormai ci sono due prodotti buoni. Tutto il resto è merda maturata sotto la proteolisi della crosta. E lì gli affinatori sguazzano tra una delle tipicità più tipiche. Il solo caprino italiano che può competere con quelli francesi (solita solfa senza senso…).
D’altronde il prodotto DEVE esserci sempre. Ecco che cosa fanno gli affinatori: garantiscono che il prodotto ci sia sempre e comunque, fanno riprodurre le forme di montagna (di cui hanno rubato gli stilemi: vedere lo Strachitunt di Guglielmo Locatelli e alcuni formaggi Ossolani) a caseifici di pianura, mantenendone impunemente la nomenclatura, non fanno i nomi dei produttori, sofisticano e stravolgono il gusto e il sapore del formaggio attraverso acari e batteri, mettono tutto sotto la paglia, sotto la cenere o sotto la terra, “acarizzano” l’acarizzabile e affinano lo Champagne con il Gorgonzola.
Ma siccome m’impongono il grigio (come modus vivendi) dall’alto, devo ammettere che, anche qui, ci sono sì gli “Epimenidi” con la toga slow, che vantano ai mercati della terra mirabolanti produzioni, ma ci sono anche quelli che hanno legato la propria esistenza come artigiani e come commercianti a due alpeggi di numero…
Per la serietà: Silvio Zanini e Luciano Serra.
peccato che l’ articolo era completamente permeato da malignità e dente avvelenato, perché ci sono anche degli spunti interessanti che affinatori seri, prenderebbero in considerazione molto attentamente per migliorare ulteriormente…..peccato, un’occasione sprecata