Avanguardie di provincia… Denis Dianin

dianin

Selvazzano Dentro. Hinterland Padovano. Al di qua del fiume Bacchiglione che la taglia in due. Oltre ventimila abitanti, molte aziende manifatturiere, qualche artigiano, un mercato, troppo traffico e nessun segno visibile di bellezza. È un paese nella tasca, a metà strada tra il capoluogo e i Colli Euganei, in mezzo a quelle vie di passaggio che non hanno mai fatto soste. La pianura e qualche villa, degna di una borghesia che ha investito tutti i suoi soldi nella sicurezza e nelle rotonde, fanno di Selvazzano un posto senza centro e senza usanza. Nell’ipotesi della fuga, ho visto troneggiare imperiosi i colori del Veuve Clicquot che, senza pregiudizio, avrei scambiato per il solito lounge bar dalle conversazioni tediose e dagli atteggiamenti finto-vip. Invece, all’interno, ci lavora uno dei più promettenti pasticcieri italiani.

Denis Dianin è un autodidatta, con poche scuole alle spalle e ancor meno laboratori. Qualche parente/amico gelatiere, l’apertura di una pizzeria, qualche studio in chimica, l’utilizzo dei primi lieviti, il passaggio dal Molino Agugiaro per approfondire le farine e le loro strutture, l’accostamento di dolci estetici alla pizza, la necessità di allargarsi e finalmente la sua pasticceria che è anche un bar e che impegna l’offerta dalla colazione fino all’aperitivo.

D&G. Design&Glamour. Un nome che ha subito distolto la mia attenzione. Qualcosa di patinato che andava molto al di là del lavoro di un pasticciere. Ma i guru a cosa servono se non a riportare sulla retta via? E così ho anche chiesto lumi sulla scelta del nome. Qualcosa che facesse parlare, che facesse fare delle domande, che portasse l’idea di pasticceria (nonostante le mie discordanze, devo ammettere una certa suadenza nell’immaginazione del cliente che può spendere cercando una dignità di spesa) molto vicino all’idea di stile. Molto più che di moda. Proprio di stagionalità di cambiamento, di presenzialità. Tutto il contrario di quello che è stata e che è la pasticceria italiana.

Ma qui fa seguito una teoretica alla pratica della patina. I dolci della tradizione o vengono ordinati o non esistono. Meringate, millefoglie, Sacher, Saint Honorè, mimose sono il concetto di un’altra clientela. Qui c’è una scommessa e c’è un pasticciere. Giusto o sbagliato che sia, Denis ha deciso per lo stupore e la strada intrapresa ha la dignità del rigore. I contrasti estremizzati nell’ingredientistica vengono ripresi da consistenze abituali che confortano prima dell’espressione e dello sforzo. Perché Denis è un pasticciere con un palato.

Il croissant, poco sfogliato con burro e uova, è veramente una sorpresa. Da amante della friabilità francese, rimango perlopiù deluso, ma qui devo ricredermi. Una marmellata di albicocche ben bilanciata, più nel contesto che nella solitudine, un prodotto di una colazione all’italiana che non puzza più di stantio. Buono, pieno, quasi croccante.

Le mono-porzioni e le mignon sono sorprendenti. Bavarese alla vaniglia Tahiti con un cremoso/spuma di pistacchio (con un doppio gusto del frutto: un filo tostato da una parte e un filo sporco dall’altra) e una punta di miele, forse anche di mandorla, a dargli struttura, appoggiato su un croccante che assomiglia ad un wafer alla nocciola. La nomenclatura è una spiegazione razionale (riportata fedelmente nelle vetrine…) molto più complessa della pulizia e della bellezza al palato. C’è un’incredibile armonia di fondo che esalta sapore per sapore. Quella che sembra una cupcake cutterizzata (cit.), si rivela una frolla friabile sovrastata da un cremoso dove vengono esaltati i sapori del caramello, (che ritrovo in altre costruzioni), come se fosse quel gusto nascosto che consolida la sua pasticceria. Esce fuori nel pralinato, nelle bavaresi al cioccolato (che alternano un aroma di cannella mai banale) e nelle mignon al caffè.

Nella frutta trovo più mediterraneo che esotismo. Il mandarino, in una struttura similare alla Sette Veli, è veramente armonico, la sablè al limone, sovrastata da strutture alla fragola e al mascarpone (che a breve vuole andarsi a produrre da sé con l’acido tartarico al posto dell’acido citrico…), è il classico che rompe la progettualità modernista. Più del panettone con lo zenzero candito, più delle frittelle, delle chiacchiere, delle mignon-grattacielo o delle praline-ganasciate ripiene di essenziali di frutta secca. C’è nella pasticceria di Denis quel nascondimento del passato che è già rivelazione…

La pasticceria è dolce e salata, è fatta dalle difficoltà e dall’educazione, dagli stagisti e dagli affermati, si rielaborano le linzer e le torte con la frutta secca, ma anche la carbonara e gli aperitivi. Denis, diminuendo i suoi dipendenti nel corso del tempo, ha diminuito anche gli sprechi. Ha mollato gli instabili bar-croissanteschi-mattutini-e-insolventi, per qualcosa di più certo, per un Atelier e per uno Show Room. Laboratorio e bottega. Un pasticciere presente, con la cura del particolare e quell’attenzione per il reale che deve insistere sulle materie prime (magari trovando una strada più rarefatta…) e che non può prescindere dall’assaggio, anche quando il prodotto non è corroborante (le spalmabili mannoriane all’olio d’oliva, troppo grasse e un un filo ossidate) ma soprattutto quando il prodotto è armonioso. Il plauso è già un sospetto, il languore appagante è già uno stimolo. Così Denis non può che fare il pasticciere. Magari sfrondando qualche colore (ancorché l’arancione shocking sia una sua impronta originaria) e qualche struttura, magari sfruttando lo stupore, magari continuando a fare dolci belli, buoni ma soprattutto suoi.

 

D&G PATISSERIE

VIA MONTEGRAPPA 30

SELVAZZANO DENTRO (PD)

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