Un pizzaiolo della Generazione X… Alessandro Lunardi

lunardi

Brugine. Strada principale parallela alla strada per il deserto. Fase postprandiale dove tutto sembra più rarefatto. Anche quest’angolo di mondo. Un fornaio con la puzza di lievito di birra che sfonda le vetrine, un bar-pasticceria dal cioccolato finto artigianale fatto di barrette e praline e con la cameriera che scommette sul fatto che non entrino rapinatori, vista la mia attesa solitaria e la sua faccia annoiata, un parrucchiere con le pettinature “schiaffo” in vetrina che sembrano uscite dagli anni ’80 di Paul Mitchell, e una sala slot, dove buona parte degli spiccioli risparmiati dalla spesa al discount vengono reinvestiti da teste basse, facce torve e felicità compresse. E non siamo alle soglie di un film di Wim Wenders.

Brugine è proprio questa. Senza compromessi e senza volti di passaggio. Nascere in queste lande è già un principio d’azione. Il contesto deve essere fatto di educazione e di libertà, soprattutto per un ragazzo del 1979, di quell’adolescenza post-grunge tra camicie a quadri, felpe col cappuccio e una previsione per il futuro talmente lontana dalla realtà da generare apatia e cinismo. Ma è così che, in quell’assenza di valori post-distruzione-capitalistica, si è riusciti a fermare l’emorragia. In questo modo, in questo Texas meno polveroso, ci sono giovani, o ex giovani, de-industrializzati, con l’hard rock dialettale e i panettoni cotti nel forno a legna.

Pizzeria Nuvola Rossa. Poco dopo. Alessandro arriva con la tenuta sociale: felpa nera col cappuccio e col nome del locale stampato piccolo. Per me ha già vinto. È un viso che conosco da sempre perché è stato il mio. Senza parole, ci sono già dei trascorsi comuni. Ha un mondo da esprimere e lo fa nel suo dialetto, come se fosse la cosa più naturale per lui. Ripeto, per me ha già vinto. Tuttavia, oltre tutto questo, che sembra poco, ma è già una comunicazione fatta dal sarto, ha acceso il forno a legna e ha tirato fuori i panetti multi-cereali per infornarli. In un posto SOSTENIBILE. Cazzo.

Gli ingredienti sono la faccia dei clienti e il loro portafoglio. La pizzeria d’asporto è piccola, è aperta solo la sera, ha un forno a legna (di faggio) con piano refrattario rotatorio, un paio di frigoriferi e un piccolo magazzino. Il bagno è già un lusso. Le farine sono Quaglia e le semole di mulini da un tanto al kilo. Il lavoro sulla fragranza deve essere messo sulla retta via. Alessandro sta guardando, in zona Piove di Sacco, qualche locale che gli permetta di avere dei posti a sedere, dei menù più strutturati e uno spazio maggiore per gli impasti e per la sua fantasia. Per ora, mettere in carta una pizza sopra i dieci euro è una spiegazione che non vale la Pena. Adesso che sono arrivati dei pomodori secchi dalla Puglia, eccezionali, qualcosa di veramente raro per acidità, contrasti e contestualità con il grasso della bufala, gli accoppiamenti stimolati sono necessitati da un prezzo un filo meno urbano. Ed Alessandro ha un po’ d’ansia da palcoscenico. D’altronde il pizzaiolo dietro l’angolo ha fuori la Margherita a 3,80 euro: già abbastanza per un cartone, una serata annoiata a casa e l’obbligo di togliersi il pigiama e inforcare il mocassino fuori-tempo per l’attesa in boutique. Così è la provincia texana e così bisogna procedere per tentativi.

Mix di semi e mix di cereali per un impasto a lievito misto, maturato il tempo giusto perché proteasi ed amilasi rilascino il loro effetto e le loro scissioni, forse un filo di malto (Sobillatori! Sobillatori!), due minuti e mezzo in forno a 320 gradi e una struttura fisica che assomiglia alla classica napoletana. Crosta piena e soave e ventre piatto ma sigillato. La sottigliezza aumenta il gusto senza tralasciare il supporto. Manca un filo di aromatica al naso ma il risultato è così semplice che mi stupisce. Una pizza gustosa, che vorresti mangiare e rimangiare, al netto di topping, concessioni amidacee e strutture gustative sicuramente perfettibili. Il pane è di semola di grano duro, particolarmente alveolato nonostante la materia prima, lievito in acqua (svariati corsi con Rolando Morandin), citrico ma esplosivo, e cottura a legna che ne aumenta le fragranze diminuendo un filo la croccantezza della crosta.

Manco di poco i suoi panettoni che, a differenza dell’ortodossia pasticciera, nella necessità da spazio ridotto, sono cotti (prima apostasia…) nel forno a legna, e hanno un volume impressionante (seconda apostasia), manco fossero pompati. Tutto foto e niente palato. E l’impressione è comunque vivida.

Alessandro è un ragazzo di provincia, anche lui pizzaiolo (come Marco Locatelli). Se fossimo nel paese dei cactus e delle roadhouse, sarebbe la caratterizzazione della nostalgia di un brano dei Gun Club o di David Eugene Edwards. Nella semplicità di una soffitta, di uno stereo sempre acceso, del tabacco da rollare e della possibilità di determinare le proprie scelte e le proprie abitudini: manualità per vocazione… il resto è tempo e cultura…

 

PIZZERIA NUVOLA ROSSA

VIA ROMA 56

BRUGINE

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