Vesime. Langa Astigiana. Tra Roccaverano e Cortemilia. Capre, nocciole e moscato d’Asti. Una zona definita dai suoi prodotti tipici, dalle sue aziende e dagli immancabili imbonitori. La nocciola è un sentore di alberelli che gli sgusciatori hanno reso in quantità. Tutto ruota intorno al territorio, le scelte sono sempre improvvisazioni su un tessuto di abitudini cristallizzate da secoli. Così nascere da queste parti è una fuga o un obbligo all’apologia. Quello che si può creare è già dato. Eppure la bellezza tutto fa pensare tranne che alla monotonia. Delle risposte, delle colture, delle dedizioni. Qua c’è una religiosità grigia, fatta di ritualità, mitologia, facce senza espressione, paesi stinti nelle anime dissipate, sindaci-parroci-fabbricanti d’armi-giullari-viticoltori-e guitti tutti racchiusi nella stessa persona, che è tenutaria, politica e un po’ figlio di buona donna. I comuni sono mandamenti di poche relazioni sociali e un sacco di terreno dove lasciar fluire dispiaceri e indicazioni sbagliate al turista americano con la pancia esangue. Luogo del ricordo e della nostalgia. Le persone sono suppellettili e accenti.
In mezzo al paese, nell’unica piazza, con chiesa, sampietrini e sosta, Fabrizio Giamello ha aperto, una quindicina di anni fa, la sua pasticceria La Dolce Langa. Famiglia di panettieri, brevi scuole, Arte Bianca a Torino (compagno di banco di Guido Castagna…), prime esperienze in un albergo parentale ad Alba, formazione in una pasticceria del ponente ligure e ritorno in Langa per rilevare la storica pasticceria Da Giusepein, con retaggi secolari in arte povera, ricette impolverate, fotografie in bianco e nero e un sentore a metà strada tra la farina e i semi-lavorati: quelle notti di pasticceria dove il dosaggio erano anni e anni di tentativi, coercizioni, rimbrotti e la magnificazione finale del cliente che non andava mai disattesa. La stagionalità odierna, dove si cambiano i menù ogni piè sospinto, dove si sperimentano azzardi e accoppiamenti, dove il dolce di ieri sarà una data di creazione su un menù a venire per ricordare a tutti il gesto primi-genio, non fa parte di questi luoghi e di questa pasticceria.
La pasticceria di Fabrizio ha tolto, conservando. Ha provato a rinnovare mantenendo intatto quell’unico principio che, in queste lande, fonda tutte le richieste di dolce: nocciola, nocciola e ancora nocciola. Non è questione di core business, di nucleo, di priorità, di bontà o di bellezza, è questione di richiesta. Punto. Se Pierre Hermé fosse nato qui, avrebbe fatto la torta alla nocciola o, come massima espressione dell’ego, il macaron alla nocciola. Punto.
Fabrizio ha iniziato a rifornirsi da Cascina Grangia, agricoltori e trasformatori a Cravanzana, che è più lontano di Cortemilia, seppur di pochi kilometri, come segno evidente di un progetto diverso. Perché anche sulla nocciola qualcosa andava fatto, a prescindere dai concorsi di bellezza. La torta alla nocciola, dolce da consumo dilazionato, orgoglio locale trasformatosi in pubblicità per celiaci ed intolleranti, l’ha interpretata non rifuggendo il frumento da abbinare alla farina di nocciole, smorzando quel grasso su grasso (burro e olio di nocciola), unico impatto gustativo dei tempi cortemiliani, dove le papille vengono frustrate e frustate. Qui, è tutto molto più equilibrato, soprattutto nelle consistenze. Ma la sua retro-innovazione è il bacio di Langa, un’invenzione brevettata che richiama il bacio di dama, con una crema al gianduia all’interno e un’invidiabile friabilità del biscotto. Nata come torta, è diventata per esigenza una mono-porzione. Un macchinario Fbm dedicato solo a questo, un prodotto finale un po’ più piatto. Gusti mantenuti. Farina, burro, nocciole e vaniglia. Coesi, dolci e goderecci. Una merenda che più territoriale è difficile desiderare.
Fabrizio vende lievitati, cioccolati, gelati, mignon, qualche semifreddo localizzato con il moscato e torte solamente su ordinazione. Ma rimangono nell’ombra di una necessità che non si è ancora trasformata in voglia. Svegliarsi la mattina è la brioche e non la gestione del lievito. Ha un’idiosincrasia al cioccolato che lo fa desistere dal lavorarlo a lungo, il gelato lo imposta come gli ha detto il dimostratore e la modernità in pasticceria non passa da scelte definite che definiscono un ambito dove non sia presente la nocciola. Lì non si può sgarrare. I suoi racconti sono quelli di un lavoratore indefesso che cerca comunicazione badando al sodo. I suoi prodotti hanno una bontà fastosa, più nella proposta che nel gusto. Forse un po’ di tenuità e un po’ di ricerca potrebbero ripulire, ma lì vige la legge della nocciola e Fabrizio sa meglio di me che mostrare il laboratorio e le ricette, in quel ricettacolo di invidiosi, golosi e concorrenti, potrebbe assomigliare ad una svendita piuttosto che ad un insegnamento. Così si rimane chiusi nelle proprie fucine, cercando un’invenzione più che una quotidianità. Ma l’Italia è molto più i suoi pasticcieri territoriali che i suoi innovatori. Il gusto è un istinto pomeridiano più che una predisposizione allo stupore… E così Fabrizio è la sua terra più di qualunque paesaggio…
LA DOLCE LANGA
PIAZZA VITTORIO EMANUELE 14
VESIME (AT)