Robiola di Roccaverano, grotte e altre storie… Enrico Rossello

Robiola_Roccaverano

Roccaverano. Secondo tentativo. Giornata di primavera e clima da tregenda. Temperatura tra i 2 e i 5 gradi. Seicento metri d’altezza. Braccia stravolte dalle curve e sguardo in controtendenza sulla quantità di orizzonte. Ad altezza paese (800 metri), la flora collinare inizia a vestire le forme di quella alpina. Abeti e querce tutt’intorno. Stradina che scende, si stringe, si dilania l’asfalto, aumentano le curve a dismisura, gli incroci ne fanno un labirinto, ripido fino quasi in fondo al bosco. Lì termina quella via, proprio all’interno dell’abitazione di Enrico Rossello, quello che non speravi più di trovare.

Dopo aver innalzato la Dop della Roccaverano all’altezza dei fromage de chèvre francesi, dopo aver urlato al mondo l’esistenza della capra di Roccaverano, dopo aver preso tutti i soldi disponibili da tutte le comunità disponibili, dopo che Don Verri (o Don Caprino cit. Raspelli), con la sua cascina Rocchino e i suoi ragazzi “problematici”, ha creato una mitologia, dopo le cooperative, le nascite dei caseifici, i presidenti di Provincia che dissimulano cooperazione dietro il business, dopo che due allevatori (Agrilanga) si sono trasformati in un’industria, dopo che gli affinatori ne han fatto un formaggio da latte comprato… dopo tutto questo, e molto oltre, ci sono Enrico Rossello, la sua robiola, uscita dalla Dop, sua moglie, i suoi cinque figli, la sua iconoclastia, i suoi metodi anti-convenzionali, la sua meravigliosa grotta di stagionatura, ma soprattutto quell’angolo di mondo o di bosco che tutto mette a tacere.

Enrico ha smesso di studiare e ha iniziato a correre in moto. Motocross, motorally o enduro, la spiegazione latita nella mia precisione. Era un gran manico, fuori e dentro le competizioni. Anche dieci anni dopo il ritiro, anche mentre finiva di produrre formaggi all’una e si svegliava alle quattro per andare a correre. La famiglia lo ha rimesso un po’ (ma giusto un filo…) a posto. Adesso alleva, munge, caseifica, ha cinque figli, non è più incazzato con tutto il mondo ma solo con una parte di esso, sfida ancora l’autorità, esce di notte a comprare ghiaccioli e coltiva il coltivabile.

La vita di Enrico è il compendio delle sue parole, a metà strada tra il romanzo picaresco e la basica realtà del contadino, quella che ti fa scontrare e raccontare la terra attraverso la normalità della quotidianità, senza rimembranze mistiche, aloni poetici o scelte anti-empiriche verso un’agricoltura anti-convenzionale. Probabilmente Enrico si mostra solo a chi si vuole mostrare ma è ancora più probabile che si mostri così con tutti, dal bancario che gli bussa alla porta proponendogli un conto nella propria cassa di risparmio alle forze dell’ordine che gli chiedono il prezzo dei formaggi in una notte arida e afosa fino ai notabili locali terrorizzati da mani alzate e domande invadenti.

Roccaverano, in fondo, è un paese minuscolo, dove la foto dei coscritti è fatta con un monocolo, dove sono rispettati alla lettera i ruoli antropologici, dove c’è il pazzo, il fornaio, la nave scuola, l’ustiasa, l’ubriacone, il prete, il baciapile, il saggio, le comari, lo stupidotto, il bello, il tamarro, l’atleta, il figlio del ricco, il più chiacchierato e la maestra appena arrivata. Il paese si trasforma in un cortile ed Enrico ha visto i suoi amici morire, rigenerarsi, arrendersi o emigrare. Lui, invece, è rimasto per fare un formaggio straordinario, fuori da consorzi e fuori da denominazioni. La Robiola di Rossello Enrico.

Le mungiture sono strenuamente separate. Enrico caseifica due volte al giorno. Le temperature rimangono controllate, nessuna aggiunta di innesti o di penicillium, per acidificare viene aggiunto un filo di caglio di vitello liquido, la cagliata non viene rotta ma spezzata a mano e messa nelle fascere, salatura in superficie, solo ed esclusivamente latte caprino e un formaggio che nella pelle assomiglia agli altri. Poi il colpo da banditore. Enrico le raccoglie, una ad una, e con una lima inizia a lisciarle e a formarle. Per un semplice fattore estetico… Il suo formaggio è diverso già lì.

Pasta bianco lucente, pastosa, adesiva e morbida allo stesso tempo. Punta di acidità, che scompare dopo cinque giorni, crosta senza proteolisi (anche quella sviluppata nel tempo), sapore lattico e sapido. Nella stagionatura diventa persistente, mantecato ed erbaceo. Il pascolo esce col tempo. Pochi giorni in caseificio e poi in grotta, come il Castelmagno. I batteri li prende lì, con l’umidità. Le stagionature si protraggono per mesi. Le robiole cambiano, si asciugano, diventano un assaggio, un formaggio da degustazione, senza sensazioni trigeminali, con un filo di piccantezza e retrogusti robusti e burrosi. Il formaggio di Enrico è cremoso. Soprattutto nella sua invenzione più inventiva.

Lestremo. Una Robiola di Roccaverano moltiplicata per sei. Un’unica mungitura, solo d’estate, quasi esclusivamente erba e fiori. Stagionatura che può raggiungere i due anni e che non intacca minimamente le possibilità del formaggio. Altri sapori e altre percezioni raggiunti. È cremoso, ha un retrogusto lunghissimo, è estremamente complesso. Un caprino di grotta che elimina le facce da stronzo e le domande sdilinquenti.

Enrico non bada troppo alla selezione della razza o alla genetica, l’alimentazione è composta da erba, fieno, orzo e mais. L’attenzione massima è riversata sul suo latte. Il caseificio è lindo, perfettamente compulsivo, da sala operatoria. Il selvatico rimane fuori. Nell’aria, nella stalla e nella grotta. Capre, galline e pecore condividono tutte lo stesso principio di salvaguardia. Lui, ogni tanto, lo disattende, e si addormenta distrutto in mezzo al parcheggio. Ma così resta fuori la noia della ripetizione e della catena di montaggio. Enrico è la sua solitudine in un lavoro estremo che ha scelto… Beat: battuto e beato…

 

AZIENDA AGRICOLA ROSSELLO ENRICO

REGIONE CERETTO-TATORBA 30

ROCCAVERANO (AL)

Carlo Battistella

Letto d’un fiato…..eccolo l’Artigiano. Almeno per quanto mi riguarda. Quello che puoi trovare solo cercando fuori, o a lato, di denominazioni, definizioni,etichette, titoli, insegne e retorica. Quello che il suo formaggio e il suo sapore sono una questione di natura, mani, bellezza, tempo e pascolo. Quello cosciente che l’artigiano, o almeno una certa idea di artigiano, arriva dal contadino. E sa staccarsene il giusto, ma senza portare l’evoluzione verso l’allontanamento dal senso del proprio fare. Nelle cose, c’è chi segue la corrente, chi va controcorrente e poi…chi va semplicemente per la sua strada. Grande Nicolò e complimenti a Enrico Rossello.
Lezione di educazione. Etica, lavoro, serietà, cultura, mestiere.
E qui concordo con Giorgio D’Ambrosio, gli articoli di Scaglione andrebbero letti nelle scuole, almeno in quelle che fanno dell’artigianato e del suo insegnamento la propria bandiera. Ma ci vorrebbe veramente un maestro eretico….
Carlo Battistella

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