Anche il Grana Padano può avere la sua filiera… Sorelle Conti

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Cividate al Piano. Profonda bassa bergamasca. Strade statali azzoppate dal cemento, un fiume Oglio di cui non si sente la necessità e una dedizione agricola che non è mai andata oltre il bisogno. Rispetto economico contadino che non è mai del tutto riuscito a ripulirsi. E così le evidenze rimangono le chiese e le botteghe che sono diventate vieppiù centri estetici per abbronzature lampo. Le rocche medievali sono lasciate al tempo che fu e a qualche immaginazione più fervida da poggiarcisi sopra quella volta al mese così per almanaccare un po’. Ora il dormitorio si è fatto stringente, i muratori e i carpentieri continuano ad edificare e la voglia di novità deve comunque passare dalla produzione. Così, un’azienda come l’Agricola San Giorgio ha potuto sonnecchiare per anni in una comunicazione di profitto agricolo e poi scoprirsi diversa, andargli stretto tutto l’apparato legato ai grandi formaggi italiani e riportare tutto a casa.

Nata negli anni ’70 grazie all’idea di Giorgio Conti che ha trasformato un’agricoltura di estensione nella terza azienda agricola italiana per numero di vacche da latte, si sviluppa ad inizio anni ’90 con la costruzione del caseificio aziendale e la chiusura di una parte della filiera. I fieni continuano ad arrivare dall’Appennino, da quella catena di montaggio, chiamata Parmigiano Reggiano, che compare come termine di paragone sempre presente nei discorsi su apparati, comunicazione e disciplinari. Perché sì il disciplinare del Padano è un po’ più lasco rispetto a quello del consanguineo. I caseifici di pianura, dalla produzione fuori controllo e dal prezzo al ribasso, non guardano in faccia le vacche. Le stalle devono produrre, gli insilati invernali sono la salvezza. E così il lisozima è l’enzima salvifico dall’insilato salvifico. Tutti questi salvataggi han portato sull’orlo del burrone. I più puliti si son riparati, gli altri son finiti nella centrifuga polemica di Beautiful o sono emigrati in Repubblica Ceca, cambiando nome al formaggio e millantando un made by italians con manodopera locale… ma queste sono altre storie… più nebbiose…

Le tre figlie di Giorgio hanno preso in mano l’azienda pochi anni fa. Gabriella ha cominciato a guardare il futuro oltre il Po, per cercare di carpire quali possibilità potessero essere messe in gioco. E così ha deciso di curare l’alimentazione, eliminando tutti i mangimi dalla razione e provando, con le oltre due mila frisone nelle stalle, a portare a casa un prodotto diverso. La pianura non è mai stata parca sulle quantità di latte e sui trinciati, così la differenza doveva essere fatta prepotentemente in caseificio.

Sedici caldere, diverse forme al giorno, vasche per la salamoia in acciaio (dove le forme rimangono per una ventina di giorni) e stanze per la stagionatura tutte in azienda. Grana portato tranquillamente sopra i due anni, fuori dalla grande distribuzione e dagli interessi dei commercianti, prezzi doverosamente un po’ più elevati e un prodotto, sia sui 25 sia sui 30 mesi, assolutamente raro. Lattico, morbido, pieno al gusto, più simile al Parmigiano di quanto la produzione possa richiedere, cotto ma senza asciugatura, il palato trova ancora il grasso e soprattutto il dolce. La grana non ha concrezioni, sfalda bene pur rimanendo friabile. Conservazione e stagionatura rispettano i tempi di un Padano raro, nonostante la pianura e nonostante i crismi non siano ancora tutti consacrati.

Gabriella crede al prodotto nonostante e oltre la vendita, lavora in un mondo di uomini che conoscono il mestiere e che seguono una produzione reiterata. I cambiamenti devono essere smorzati, ma devono essere. E così il tempo ci dirà se la ragione del Grana Padano, figlio di un dio minore, potrà diventare l’emozione di un racconto. C’è sempre una storia al di là di tutto…

AGRICOLA SAN GIORGIO

CASCINA SAN GIORGIO 20

CIVIDATE AL PIANO (BG)

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