Antica Dolceria Bonajuto da tutti i punti di vista… Pierpaolo Ruta

bonajuto

Modica. Una delle roccaforti del tardo barocco. Un terremoto et voilà trecento anni di storia a nascondere bene rughe e crepe. Due duomi, una città alta e una città bassa, una conca dove nascondersi, delle tradizioni inscalfibili e, soprattutto, una ricchezza “bella” che non può che far tornare. Strati di case, vicoli e scale che non portano da nessuna parte. Una rocca a dominare il tutto, un fiume interrato che ha trasformato la Venezia del sud in qualcosa di rarefatto, quasi inesistente. Modica è campi lunghissimi e ritmi lenti, le macchine in coda non hanno fretta, le persone si schermiscono dal sole. Campanili, chiese e ancora campanili. Il barocco è l’apparenza di una struttura medievale che torna sempre sui suoi passi. Questo luogo è un pensatoio naturale, senza vie di fuga. Non si può fare altro che immergersi. È meno manifesta del presepe di Ibla, dell’illuminazione di Scicli o del color deserto dei viali di Noto, ma ha la follia incasinata di una Sicilia meno condita.

Modica è la stessa che è diventata la città del cioccolato. Ma i palati si sa non vanno mai di pari passo con la libertà concessa dal turismo e dal tempo libero. Il cioccolato a pietra è un retaggio divelto per mancanza di serietà. Così, all’interno della Dolceria Bonajuto esiste ancora, testimonianza del tempo, un “metate”, pietra ricurva poggiata su basamenti trasversali, dove gli aztechi, gli spagnoli che portarono il modicano (similare al cioccolato prodotto ad Alicante) e il nonno di Pierpaolo Ruta, ultimo dissidente della famiglia Bonajuto, cognome ormai irrintracciabile a queste latitudini, attraverso uno speciale mattarello, sostituivano il rompi-fave producendosi il proprio cioccolato lavorato “a freddo”. Quello che resta, e che la famiglia Ruta ha ripreso in mano ad inizio anni ’90, dopo alcuni mesi di chiusura e di passaggio, quando il cioccolato modicano, ormai, non lo voleva più nessuno, è una massa di cacao (solitamente Ghana) preso da importatori olandesi, lavorato con zucchero di canna, non concato, temperato leggermente, con i cristalli di zucchero ben affiorati. Un cioccolato magro (poco raffinato e quindi grezzo in bocca), con note bruciacchiate, un filo pesante, con le aromatizzazioni, vaniglia e cannella innanzitutto in quanto rappresentanti la storia del cioccolato modicano, a completare la tavoletta, che ha preso un paese e l’ha trasformato, negli ultimi 20 anni, in una fabbrica di cioccolato/paese di scioglitori. Bonajuto: dai trecento kili annui alle dodici tonnellate di oggi. Miracolo?

Fine agosto. Gente in coda. Mille scorce di cannolo fritte al giorno. Piccola via eponima di un luogo animato e dell’anima. Palazzo arrampicato su una rocca e una porta che si apre sul locale. Banco unico di legno e vetro dove nascondere le scelte e da cui far apparire le possibilità. Cassetti riempiti di biscotti. Credenze che raffinano le pareti di vino e foto. Un laboratorio in bianco alle spalle dove il lavoro è la prima delle messe in posa. La Dolceria Bonajuto è l’epitome della dolceria italiana. Un posto del ricordo e dei ricordi, dove le persone abbassano la voce… in modo che il dolce possa riprendere la sua centralità, al di là del cioccolato, della poesia, dei racconti e dei rampanti spennacchiati con la borsa piena di palle…

La cioccolata in tazza è diventata cioccolato e dovrebbe ritornare corredo. Pierpaolo è un raffinato anti-cantastorie dalle parole chiare e secche.

La pasticceria sua, della sua famiglia e di chi lavora nei due laboratori, è un’applicazione contemporanea su un impiantito antico, che non può prescindere dai profumi del miele di carrube, della vaniglia, della cannella, del gelsomino, di tutte quelle spezie che hanno un senso di località proprio perché vengono da terre mai viste e mai sepolte. I cannoli sono stupendi, friabili, croccanti, una punta di acido… la ricotta è estremamente equilibrata, senza canditi e senza cioccolato, ma con quella granella di pistacchio un po’ destrutturazione gastronomica un po’ retaggio colturale di terre vicine ma impossibili.

I biscotti sono l’apice dolciario. All’interno di cassetti nascosti, da ricette che impolverate non sono più, ristrutturati secondo l’eleganza contemporanea e svuotati di barocco. Il dolce resta dolce ma senza invadenza. I mustaccioli rimangono lì tra una consistenza quasi spugnosa e un retrogusto lungo un’ora tra liquirizia e finocchio (assenti) e carruba (presente), gli impanatigghi sono gli unici mangiabili nell’arco di kilometri, la carne (c’è anche una versione meno serbevole alla melanzana) si miscela al cioccolato e a una speziatura di cannella su una struttura frolla ma sfogliata. Lo strutto è il lascito di una Sicilia che si è convertita alle margarine e lentamente si sta convertendo al burro. Così, nella tradizione, anche Pierpaolo continua con la tradizione. I nucatoli sono di un barocchismo senza circostanza, fichi secchi, miele, cotognata e mandorle. La cobaita (croccante al sesamo) è una fiera paesana degli anni ’80 senza carie, mentre il torrone abbrustolito sfiora la rivisitazione locale della serata di festa. Così, anche le stravaganze dei cioccolati all’alga nori/bottarga o con l’essenza di gelsomino e l’ambra grigia rimangono nel solco di una pasticceria che nel Mediterraneo riposa e che del Mediterraneo ha deciso di fare la sua cifra d’elezione.

Pierpaolo non si considera un maestro cioccolatiere, ha un macchinario rudimentale con cui prodursi il suo cioccolato from bean to bar, ha una visione d’insieme delle cose, ha provato a creare gruppo, si è trovato dietro casa scioglitori Nestlè, rappresentanti aggressivi diventati cioccolatieri e turisti da ogni parte del mondo che pretendono dei sapori. Dal Ghana si passa ad un Perù un filo più aromatico ma senza secchezza. A Pierpaolo il suo cioccolato piace ma non vuole farne un modello e nemmeno una spada di discrimine. Lui sa cosa cerco e percepisce quello che ho trovato. Il resto è una famiglia con una storia e una persona che conosce ancora bene il posto dell’umiltà fredda, quella che non richiama empatia ma stima…

 

ANTICA DOLCERIA BONAJUTO

CORSO UMBERTO I 159

MODICA (RG)

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