Artigianato non significa eccezione… Gildo Grondona

GRONDONA

Pontedecimo. Periferia nord di Genova. Quartiere in mezzo ai fiumi, alle valli fluviali, all’acqua che scende e all’acqua che rimane. Strade strette, inquietanti, ponti che sovrastano delle strutture dissestate come manifesto culturale lontano da qualunque luogo desiderabile. Un sobborgo dove si vive bene e dove si vive male, come tutti i luoghi, da dove la città è talmente lontana da non sentirne bisogno, dove il cittadino è una continua forma di protezione e di somministrazione e dove le risorse umane sono costrette a transumare verso il capoluogo alla ricerca dei soldi con cui dedicarsi alla dozzinalità del televisore al plasma. Uno di quei luoghi dove l’inquietudine ti si attacca alla pelle, suda e ti risputa in faccia la tua prevenzione verso le capacità umane di adattamento. Uscita dal passato produttivo dei pastifici e delle infrastrutture, la diffidenza è una forma di strada stretta e passeggiate in fila indiana. Pontedecimo è soprattutto un luogo di storie industriali, dove la grande imprenditoria, non avendo vista, non poteva fare altro che dedicarsi al pensiero. Così la famiglia Grondona ha creato quell’angolino di mondo, nel Mondo, dove l’aria è talmente rarefatta da poterla respirare in solitaria. Un monopolio qualitativo dove il competitor non esiste.

Gildo Grondona è un artigiano a capo di un’azienda che è cresciuta nel corso dei secoli e che ineluttabilmente continuerà a crescere. Il pastificio di famiglia ottocentesco si è trasformato in quella fabbrica dei biscotti, grondante sogno di tutti i seguaci della friabilità. In pochi passi. Primo: mantenimento della stessa immagine nel corso del tempo. Secondo: ricerca maniacale delle materie prime che alla definizione di stabilità trovino quella di qualità. Terzo: nessuna retorica. Quarto: mantenimento della propria pasta madre da più di un secolo. Quinto: nessuna cortocircuitazione tra lievito naturale e lievito di birra. Sesto: investimenti senza soluzione di continuità in tecnologia migliorativa. Settimo: investimenti in ricerca scientifica e organolettica. Ottavo: studio bizantino della conservazione. Nono, ultimo e più importante: una pulizia ingredientistica perfettamente allineata con la perfetta pulizia del palato. Fuori da qualunque logica, da qualunque forno, da qualunque possibilità di porre una domanda sulla macinatura a pietra, sui cereali antichi, sulle imperfezioni necessarie per rendere un prodotto qualcosa di unico. Gildo Grondona ha trovato quell’unicità nella serialità di un prodotto che non è mai sceso a nessun COMPROMESSO.

E non è un problema di soldi, di investimenti, di macchine per lavare l’uvetta o di celle di lievitazioni più grandi di una villa a tre piani, in quanto relativo all’industria, al fatturato, alla possibilità di svuotarsi le tasche senza soffrire, ma è qualcosa di strutturalmente legato al desiderio: il biscottificio Grondona attiene pervicacemente all’anima “balocchista” del mangiatore italiano di dolci. Gildo non vuole fare come il Sig. X, fabbrichetta di filati da duecento dipendenti e maglione in cashmere Cucinelli, vuole mangiare i dolci che produce, per la colazione e per le feste. Così ha fatto delle acquisizioni in Piemonte e ha messo a punto la sua linea di panettoni. Questi sì con i mono e di-gliceridi, altrimenti non potrebbero esistere, ma molto più puliti della gran parte delle pasticcerie di cazzuolatori provinciali estremamente convinti del loro Natale fermentativo.

Detto ciò, Grondona è famosa nel mondo per il biscotto del Lagaccio (Lagaccio Antica Genova), anima genovese di una fetta biscottata lievitata con i petardi e messa in forma da Gildo con una pasta madre talmente controllata da lasciare l’acidità solo nella suggestione. Senza necessariamente una formazione scientifica, Gildo è un lievitista che è riuscito a trasfondere il guazzabuglio di una conoscenza raffinatissima in un prodotto di una semplicità sur-rurale. Undolce popolare che è diventato lento, che ha abbandonato il luogo di nascita diventando apolide.

L’anonimato del luogo di produzione diventa macchinari e tecnologia portati via dall’invidia. Celle, impastatrici, forni nascosti dai muri e seriali impacchettatori hanno reso dis-umano tutto ciò che poteva essere previsto in un progetto. La possibilità di sbagliare o di sublimare è rimasta ancora nelle mani rugose, nelle notti passate in azienda, in quelle scelte di materia prima che passano dai pinoli pisani a quelli napoletani, dalle nocciole di Langa alle farine tecnologiche fino al burro. Tutte le scelte non possono prescindere dalla qualità e dalla stabilità. Perché qui si producono quintali di biscotti al giorno, non si cerca l’alchimia delle polverine…

Lagaccio, corleggeri, canestrelli, lunette, pinolata e pandolcini hanno una caratteristica che li rende semplicemente buoni: la friabilità. Anche nei lievitati, dove la lunga maturazione rende necessaria l’utilizzo di farine proteiche. I sapori sono chiusi, i recettori sono tutti investiti di senso. Il sapido accomodante non lascia nulla più che una dolcezza reale. I profumi sono di cottura e di ri-cottura. Non arriveranno le erbe dei grani antichi, ma accontentarsi è un lusso straordinariamente economico. Un’immagine uscita dagli anni’80, pre-rivoluzione gourmet, senza necessità di una messinscena.

Il lievito madre, per Gildo, è una seconda pelle fatta di saccaromiceti, di enzimi, di azioni proteolitiche, di lactobacilli, di fermentazioni lattiche e di fermentazioni acetiche, di aminoacidi, di sottobosco, di eterofermentanti, di tutto quel mondo mantenuto in vita attraverso la cura, l’unica forma di esistenza che non ci viene richiesta. Se io posso è perché qualcuno me l’ha concesso… così il potere si trasforma in una sottile forma di subordinazione dove il punto di domanda prende il posto di quello esclamativo. Ma io devo volere. Altrimenti il surrogato diventa un dietro l’angolo smussato, un conservante, un acidificante, un additivo o un aroma. Gildo e suo fratello Orlando comprano sei quintali annui di vaniglia bourbon in bacca. Non servono molte parole, non esistono linee di demarcazione tra industriali e artigiani che facciano a meno della qualità. I parametri sono semplicemente spostati verso la funzionalità della chimica. C’è chi ci vede un fine, chi un mezzo… Tutto lì…

 

BISCOTTIFICIO GRONDONA

VIA CAMPOMORONE 48

GENOVA

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