Azienda agricola Rapelli: nati in alpeggio e cresciuti in pianura … Lucina, Bruno, Claudio e Cinzia

Ciriè. Piedi delle Valli di Lanzo. Dove l’industrialità e l’editoria hanno convertito un fondo valle, rendendolo più affine ad una pianura che ha cercato di non perdersi, pur di ritrovarsi, per affrontare il non facile compito di cancellare una montagna, la sua cultura, i suoi allevatori. In quella mezza strada tra l’aeroporto e le Alpi, dove l’equidistanza non è più una forma di equilibrio, ma di sottomissione, paesi come Ciriè, che s’ingarbugliano sotto portici bassi e sabaudi, inappropriandosi di un atteggiamento borghese quasi posticcio nel suo volersi liberare da un’origine cruenta, povera, fatta di bastoni in legno e alpeggi irraggiungibili, dove il traguardo è diventato la facilità e l’escursionista un pacchetto imbavagliato che tra le rocce percepisce che è meglio non proseguire, sono il contentino di quel che resta. E così l’assenza di un approdo turistico, una delle funzioni sociali più importanti di un alpeggio, ha svuotato i pascoli, riempendo quei fondi valle messi alla porta dalle aziende, dove famiglie nate nelle malghe hanno trovato rifugio contro la dispersione.

Qui la famiglia Rapelli, negli anni ’60, mentre il fermento era una condizione esistenziale, ha spostato la propria sede, bloccando la transumanza tra Ala di Stura e Ciriè. Giuseppe (il patriarca) però non abbandonò il suo nomadismo e non lo abbandona nemmeno oggi alla soglia degli ottant’anni: il suo tempo estivo è rimasto un tempo errante. In tutta la vita, solo un anno è rimasto, per motivi forzosi, nella sua cascina, il resto, dal fasciatoio al bastone, è un lungo e profondo racconto d’alpe, da dove le figlie, Lucina e Cecilia, sono partite, apprendendo e riattando il contemporaneo alla necessità dei luoghi.

Lucina poi ha continuato con la sua famiglia, il marito Bruno, i figli Claudio e Cinzia, non imponendo e lasciando che le regole del tempo imbrigliassero la genetica. Cinzia sta studiando Agraria alla ricerca del luogo aziendale, Claudio è entrato in cascina giovane, ha studiato agraria e ha deciso che l’allevamento potesse ben rappresentare la sua strada. In alpeggio segue ancora il nonno, portando le bestie in asciutta e non facendo più alcun tipo di formaggio che sia all’interno della normalità. Il resto è stabulazione libera, con una conversione nel corso del tempo, Pezzate rosse e Valdostane, nessun trinciato, fieni totalmente prodotti in azienda e messi in cascina insieme al padre Bruno – deuteragonista silente della storia -, diciotto litri di latte al giorno, grassi sempre sopra il 4%, nitore assoluto e una cura maniacale e loquace della materia prima da portare in caseificio dove Lucina trasforma due volte al giorno il latte in formaggio. Qui si è sempre fatta la Toma di Lanzo, in alpeggio come in pianura, il latte intero veniva trasformato a munta calda e a pasta cruda, con una rottura della cagliata che permettesse un buono spurgo e una stagionatura che a partire da un mese andasse anche verso l’anno, in quel rapporto empirico tra spurgo e affinamento stupefacente. Le essenze da fieno e da erba nelle paste granate mi lasciano sempre sorpreso. Così come la casualità del pennicillium nel blu e del timo di montagna nelle aromatizzazioni. I prodotti sono puliti, a volte soffrono qualche stracchinaggio da siero, le amarezze però non interrompono mai il palato e la Toma ritorna a prendere possesso della cascina.

Famiglie del genere hanno un domani perché se lo sono costruito al di là delle imposizioni. Genitori che fanno raccontare ai figli storia e metodologia, senza costrizioni silenti o sguardi maturi, fanno parte di un salvifico che non deve dare spiegazioni. Lucina, occhi soddisfatti e fieri per quello che la circonda, è l’espressione più lampante che non c’è mai un futuro estratto e paradigmatico, che non ci sono mai parole che non hanno una connessione con quello che si è fatto… così è almeno tra i fieni e le forme del latte…

AZIENDA AGRICOLA RAPELLI

VIA CAMPASSO 53

CIRIE’ (TO)

Aurelio

La toma dell’azienda agricola Rapelli è dalla metà del secolo scorso per i buongustai l’eccellenza della toma valligiana.

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