Baffi surrealistici e cereali post-antichi… Marcello Travenzoli

raffetta

Castel d’Ario. Il paese del riso alla pilota e di Tazio Nuvolari. Case basse e campi di Vialone Nano. L’antropizzazione è un fatto più sociale che territoriale. I posti si definiscono attraverso i luoghi comuni. Il salame è un passa parola così come il mangiar bene. Qui non ci si riconosce nei dogmi. Il Veneto si è portato via ricchezze e povertà. Qui, al confine dell’impero, in una traccia climatica dove la nebbia è nebbia, le zanzare sono zanzare e il caldo stempera la voglia di cercare altrove, la primavera non sa ancora decidersi. Regala merda bagnata, sprazzi di sole, temporali, cambi d’umore, ristoranti pieni, sedie con archi concentrici, retaggi rosa antico, carte dei vini naturali, disquisizioni sul desiderio e sulla necessità, libri sul riso, paste artigianali, storie strappa lacrime e storie strappa capelli, caramelle al bancone, dolci al carrello, tomaie artigianali (il padre di Marcello ha un’azienda dove produce scarpe sostenibili…), cereali post-antichi e pre-moderni, definizioni rapsodiche, pseudonimi poetici, difformità di vedute, stagni di caccia, pesca nelle risaie, religione, religione rigirata, denominazioni comunali, i soliti sofisticatori, pile vecchie e pile nuove, solai di stagionatura, benessere suino, accenti deterrenti, cadenze emiliane, cadenze venete, università gastronomiche ma soprattutto storie di un tempo che ha bisogno solo di una forchetta per essere raccontato.

La famiglia Guerrato ha aperto la Trattoria della Stazione, placidamente dirimpetto alla stazione stessa, nel 1968. I pranzi di lavoro sono diventati figlie, le figlie nipoti e i nipoti sono andati fuori, per imparare l’antitesi, e sono rientrati. Marcello Travenzoli, sua madre, sua nonna e suo nonno gestiscono un’epopea di campagna con sfumature autarchiche.

Giovane contadino dal baffo surrealista, la parlata condita, la cultura affermata e una chiara visione d’insieme che lo allontana repentinamente dalla più classica delle definizioni proditorie: un hipster agreste con il palato tranciato dai vini anforati georgiani. E invece no! Marcello ha ripreso in mano il lavoro dei suoi nonni e di sua madre, ristoratori, e quello di suo zio, agricoltore e allevatore, e li ha sintetizzati in un’esperienza che non è se non qui. Agricoltura naturale (questa definizione vi deve bastare…), riso Vialone Nano, cereali antichi, cereali mummificati, esperimenti sul campo, pastificazione e panificazione. Progetto autonomia di un ristorante che vuole fare luce in mezzo al fango delle fatture. A latere, lo stagno di caccia, dove zio e amici cacciano fagiani, anatre, germani reali, alzavole, e l’allevamento di maiali, ibridi LargeWhite-Duroc-Landrace, per la produzione di salami (che, come nel tortonese-pavese, rappresentano la vera espressione norcina del territorio a cui dedicare cosce e culi…), pancette, coppe, cotechini, filetti baciati e soppresse. Il salame dello zio è strepitoso. Media stagionatura, grasso preponderante, spezia affumicata, una punta d’aglio, masticatura compatta e una sapidità senza corrosione. Mangimi e insilati non sono presi in considerazione, fieno, cereali e leguminose vengono auto-prodotti nella quasi totalità. Macellazione dietro casa con caminetto annesso, comunicazione disorganica da piano sequenza russo degli anni ’70, stagionatura in un sotto tetto umido (manco fosse aceto balsamico…) e filiera finalizzata dal menù della Trattoria.

Agricoltura conservativa, ecco la definizione che più mi aggrada per il lavoro che sta facendo Marcello. A partire dal Vialone Nano, coltivato dalla sua famiglia dalla notte dei tempi. Pilato bianco o semintegrale, è la base per la tipicità più tipica, per la denominazione comunale, per quel piatto per cui Marcello ha addirittura scritto un bel libro filologico: il riso alla pilota. Non è un risotto, è asciutto, è slegato, il grasso (una noce di burro) viene solo usato per la cottura del pistume (o pesto) di magro di maiale, il riso viene cotto in acqua e poi, coperto da un canovaccio, nel suo vapore acqueo, il grana viene usato solo da corredo e non in mantecatura. È uno straordinario prodotto povero. Da conservazione. Da giorno dopo. Da fame notturna. Da frigorifero. È una di quelle meravigliose strutture che dilazionano la propria estasi. Così la conservabilità è il principio di un luogo e la famiglia Travenzoli sublima il tutto con un piatto troppo poco ortodosso nell’ortodossia. Il nuovo non puzza di naftalina e la critica paesana è un braccio armato da cui rifuggire. Esperimento risicolo: Marcello vuole fare delle prove sulla coltivazione del riso in asciutta.

Farro e monococco sono in dirittura d’arrivo. Semina a spaglio e raccolta a mano. Dopo l’estate si avranno i primi risultati. Senatore Cappelli da pastificare e grano tenero (Autonomia, Verna, Gentil Rosso, Frassineto ecc…) già molito dall’Antico Mulino Rosso, dopo essere passato attraverso sovesci, pacciamature e alternanze. Per il futuro cosa di più avanguardistico del cavallo da tiro? Ed effettivamente la grande famiglia Guerrato-Travenzoli alleva anche cavalli.

Il mais è arrivato da poco, Marcello ha appena seminato delle varietà antiche di Marano e di Pignoletto. L’attesa è ancora un campo verde. Le mele campanine vengono trasformate nella meno classica delle mostarde, così come la zucca. Eccezionali accompagnamenti di formaggi da rimettere in piedi… probabilmente (ma qui lo sbilanciamento deve sempre passare attraverso le notti insonni di Marcello…) fuori dal progetto Autonomia ma nella sostenibilità di un ristorante dove la rivoluzione è forse a metà strada…

Le paste fresche vengono tirate direttamente dalla nonna Teresa, che da oltre quarant’anni detta legge su qualunque sfarinato esca da quella cucina. Tira la sfoglia a mano nella finezza o nella grossolanità. I ravioli di zucca si devono sentire sotto i denti e devono tirare fuori la dolcezza dell’amaretto. Tortelli, tagliatelle e agnoli hanno altre consistenze e necessità. Nessun compromesso e nessuna compromissione. Per finire, c’è la pasta fresca estrusa e trafilata a bronzo… ma questa è un’altra storia…

Cacciagione dello stagno, sugo di germano reale con grani teneri aziendali e dolci strutturati nella nostalgia e negli anni ’80: bigolada, zuppa inglese, budino belga e tiramisù. Mancano solo i pessin pescati direttamente nelle risaie per rendere tutto ancora più surreale e più surrealistico. Ah no, ah no… mancano le arnie, manca il “Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio”… Progetti per il futuro: miele o Magritte?

 

SOCIETA’ AGRICOLA RAFFETTA

LOCALITA’ RAMPINA 1/A

BAZZA DI BIGARELLO (MN)

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