Guardare i vigneti e vederci un salume… Eugenio Caprini

Negrar. Arrivare attraverso una conca che trasforma la pianura in collina e la collina in montagna porta in dote un orizzonte differente, enorme e limitato insieme, verso quella Lessinia dolce, morbida e depredata che trasforma lentamente la Valpolicella in un dovere di marmo, in pascoli pianeggianti e in uno sguardo che si ritrova tra i crinali, quando la luce manca di vividezza e il riverbero crea effetti distorti, e che toglie qualunque pensiero verso un silenzio, sepolto e bianco, che riporta in vetta l’esigenza di trovare ancora pittori e ruffiani che mantengano senza sperperare. Negrar è un luogo geometrico, dove le ville venete hanno mantenuto eredi danteschi e sguardi patrizi di famiglie del vino coese con un passato sempre fervido e un futuro di imberbi beoti, in cui le case basse rimangono chiare e le attività si possono tramandare di genitore in genitore. Qui la famiglia Caprini, da quattro generazioni, porta avanti la sua storia, con il merito della riservatezza e la coerenza della rivoluzione.

Eugenio, insieme a suo fratello e a sua sorella, ha deciso di mettere da parte il pressapochismo da salumificio e di riprendere in mano la tradizione di famiglia, facendola detonare. La macelleria era un luogo simbolo e un luogo cardine. All’inizio si vendeva e si conservava poco, poi sono arrivati i salumi, nitriti, nitrati e zuccheri, prodotti facili per un pubblico assente. Eugenio era professore di educazione fisica, suo padre e i suoi zii stavano iniziando ad invecchiare. La chiamata alle armi è stata del fratello e lui ha deciso di metterci l’attenzione. Era il finire degli anni ’70, i tempi erano maturi per i vinoni, i salumi non avevano etichetta, si facevano le sopresse, ci si ricordava di quelle del contadino e le industrie, nel mentre, avevano iniziato a stravolgere gli effetti, svendendosi le cause per un po’ di visibilità.

Il vino si è sempre messo nei salumi, l’Amarone no. Inizio anni ’80, mesi di prove per capire la concia, per non sottrarre al suino gusto e masticazione. Così la svolta. Sopressa stagionata tra i tre e i quattro mesi, pezzature in diminuzione rispetto alla tradizione familiare che prevedeva tranquillamente i tre kili e una pulizia rara. Una punta di acidità e di uva appassita, una masticazione piena, anche nelle forme più giovani, e un equilibrio armonico, che non concede requie alla ricerca del dolce. Alla fine chiude tutto il sottobosco e la cantina. Come deve essere un salame. Sopressare è l’atto del pigiare il macinato all’interno del budello cieco, insieme ad aglio e aromi. Il tempo, le cantine, l’asciugatura, la ricerca della perfezione e di allevamenti in Valpolicella, tali da garantire al suino un’alimentazione e un peso, sono questioni lapidarie e strutturali alla riuscita. Non ci sono filosofie ingenue e facili realizzazioni dell’ultim’ora, per fare un prodotto del genere, ci vuole conoscenza.

E così ti ritrovi nel retrobottega, dove Eugenio ha mantenuto il suo macello per bovini e suini. Due giorni alla settimana, poco conto-terzismo e il lavoro del macellaio rimasto gravemente il lavoro del macellatore. Solo in questa maniera è possibile definire le proprie carni e intimare l’alt al progredire della borghesia gustativa. Qui ci sono ancora i cotechini leggermente ossidati, le salamelle, le salamate (una miscellanea, ancora più stagionata della sopressa, tra salame e pancetta, fatta a punta di coltello… rara) e la povertà dei salumi. Eugenio usa i tagli più nobili nella sopressa e poi a seguire salamelle (salsicce) e cotechini. I nervi li seleziona uno ad uno, il grasso deve esserci ma sciogliersi, il mestiere è quello di un Certosino che deve lavorare da solo, che deve poter scegliere per confrontarsi con la materia prima.

Guardano al futuro con preoccupazione, attendono le decisioni di figli e nipoti e riguardano il presente con il dubbio di un tempo che potrebbe anche passare dall’altro lato, i fratelli Caprini hanno il dono della sensibilità di rimanere ognuno al proprio posto senza pretendere, anzi riconoscendo la guida e il dovere di essere macellai e norcini. E continuando a fissare Eugenio negli occhi, rimane il paradosso di una certezza incerta, di un essere fiero dalla delicatezza comprensiva che non indugia mai sul complimento perché la vanità è un’indole da ieri e non da domani…

MACELLERIA CAPRINI

VIA MAZZINI 41

NEGRAR (VR)

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