Caseificio Borgonovo: un Grana Padano fuori logica… Fratelli Palormi

palormi

Borgonovo di Monticelli d’Ongina è una di quelle frazioni che han lasciato intatto il concetto di Pianura Padana. Senza turbamenti e senza deterrenti. Un borgo diroccato e dismesso assolutamente contestuale alla voglia d’inverno. Il paese e l’Isola Serafini sono dietro l’angolo, dietro quelle campagne che danno asparagi, nebbie e stalle chiuse dall’impossibilità. Qui era zona di centrali e smantellamenti, qui il candore dei porticati e dei castelli fu inglobato nella corsa all’oro. Petrolio e nucleare, la campagna della bassa è stata un luogo perverso di interessi coesi e mostra adesso le sue rughe d’impossibilità ad un ruolo diverso. Ma la campagna è troppo territoriale per essere abbandonata e le attività ancora si fregiano di quella passione per la piccola artigianalità e per il silenzio. Al di là di tutto, queste sono le terre del Grana Padano, delle quote latte, dello sfruttamento delle stalle e del collo tirato ai piccoli produttori in nome di un prodotto sempre meno caro, sempre meno buono e soprattutto sempre in crescita produttiva. Qui, in questi borghi senza fretta, i fratelli Palormi stanno portando avanti l’attività di famiglia, presa in mano “troppo presto”, rivoluzionata e lanciata verso il traguardo di una contemporaneità che può tranquillamente prescindere dal giorno di riposo, dalle festività e dalle ferie. Casari con contratti annuali con cinque stalle del territorio. Questo vuol dire che il latte arriva ogni giorno, tutto l’anno. E bisogna andare a prenderlo! Tutto l’anno. Numero degli addetti ai lavori, di tutti i lavori: 2. Ennio e Gianfranco o Gianfranco e Ennio. Nessun altro.

Quindici-venti forme al giorno, quaranta kili a forma, 15 litri di latte circa per kilo di formaggio, caldere coniche in rame, pasta cotta a 55-57 gradi, latte crudo, madre di siero innesto curata da Gianfranco con attenzione e nient’altro. Un Grana Padano di caseificio assolutamente unico. Uno studio continuo appassionato, quasi folle, su uno dei formaggi più sputtanati del circo bianco. Venticinque giorni di salamoia in quella che, una volta, era la stanza che tutti i caseifici di pianura avevano. Sotto terra con finestra, in modo da mantenere la temperatura controllata estate e inverno, vasche di cemento, ricoperte in vetro resina, colme di soluzione salina. Soffitti bassi, niente acciaio, pulizia estrema dell’acqua e nessun compromesso con la contemporaneità e con la facilità. Le facce del formaggio vengono girate tutti i giorni. Marchiatura al decimo mese, bassissima dose di lisozima (e nemmeno in tutte le forme) e insilati di qualità controllati alla fonte, stagionature variabili spinte fino ai tre anni, per un formaggio assolutamente contro-corrente anche nel fresco. Poco morbido, molto granuloso, il fieno arriva senza disturbi, nessun trigeminale nemmeno nello stagionato, qualità del latte senza retrogusti, fermentazione perfetta, pasta paglierino. La sapidità non è invasiva ma è persistente, il risultato finale è particolarmente armonioso e sorprendente sotto l’anno di stagionatura, in quel formaggio da grattugia snobbato da chiunque non sia la massaia, con i soldi centellinati e la lista della spesa.

Ennio e Gianfranco vivono il loro formaggio e la loro differenza. Sono partiti poco più che ventenni, ad inizio anni ’90, dopo la morte del padre, non spediscono fuori, hanno stretto alleanza con gli allevatori e danno il 70% della produzione ad un commerciante. Così, riposandosi sul già venduto, hanno potuto mettere alla prova la loro fantasia. Sono andati su alcuni alpeggi della Val Brembana e su alcuni del Trentino e ne han tratto un’idea. Senza che nessuno gli spiegasse come arrivare alla realizzazione finale, sono stati attratti dal Branzi, dalla sua pasta e dalla sua occhiatura. Ma in quella piana fluviale, con il latte crudo, la scelta doveva prendere una direzione più localizzata. Così è nato il Cacio del Po, un formaggio di pianura che non esiste, qualcosa di semplice, da panino imbottito, da tavola fredda rimessa a nuovo, con la voglia ancora di tagliare il formaggio con un coltello e mangiarlo senza fonderlo. Nessun inganno e nessuna leggenda. Un bel prodotto al di là di quelle lande e di quelle storie che vedono sempre un monaco alla base e la voglia di non sprecare il latte in eccesso. La stupefazione rimane in mezzo al latticino più insicuro, quello pedissequo, quello che in pochi ancora sanno fare bene. Ricotta di vacca che sembra burro tanto è grassa. Favolosa, resistente, bianco candido. Una semplicità che non riesce a fuggire dalle parole.

I fratelli Palormi lavorano in mezzo ad una storia di corti, alberi da frutto e cascine diroccate. Ragione-istinto, nella comunicazione e nel lavoro, e la fierezza di raccontare una storia diversa da tutte le altre, con il semplice desinare intorno ad una possibilità, ad un formaggio che, diventato chiacchiera, è diventato anche più buono. Anche senza filiera, giù il cappello…

 

CASEIFICIO BORGONOVO

VIA SAN LORENZO 43 BORGONOVO

MONTICELLI D’ONGINA (PC)

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