Il professore del formaggio…. Gabriele Santagostino

BORDONAZZA

Ossago Lodigiano. Strada statale, rotonda e cartello di benvenuto. La tipicità lodigiana non è più nel formaggio: marcite le marcite, abbandonati erborinature e granone, quello che resta è uno spettrale continuo, intervallato da distese di quello che fu foraggio, diventato biogas nei meravigliosi anni rampanti e tornato disperazione ed abbandono. La stabilità del prato è diventata un intervallo, più o meno ampio, all’interno di stagioni e cascine. Dove il diroccato diventa decadenza e l’imbrunimento da fine del mondo è quel temporale che raggela tutto. Sguardi e missioni. Il paese non ha nulla di più che case basse e qualche retaggio. Le vie sono definite dalle cascine e le persone sono ombre dimezzate fuori dall’imponenza cittadina. L’asfalto si sfalda, i cipressi diventano caducifoglie, il terreno si sbriciola diventando sterrato e la preponderanza di stalle tappa un po’ il naso all’istantanea bucolica sempre fuori quadro. Ecco. Una di queste cascine è l’impressione del mio viaggio. Un po’ casa padronale, un po’ ricovero vintage, un po’ decadenza da troppe tasse, un’aia invasa da galline e pavoni e una reale ricerca della biodiversità.

Gabriele Santagostino è stato un incontro casuale su a Case di Viso nel più contemporaneo degli alpeggi, da quell’Andrea Bezzi che ritorna come un mantra nei discorsi e nelle memorie. Era a vedere lo stato delle sue vacche, lì per il pascolo estivo. A Ponte di Legno è stato bambino, è passato attraverso l’abbandono adolescenziale, è tornato, ha deciso che le sue bestie di pianura avrebbero trascorso l’estate in alpe e ha imparato a fare quei formaggi (Silter e Case di Viso su tutti), poi affinati alla Casearia di Lodi, che dovevano completargli la quotidianità. Perché Gabriele ha sì un’azienda agricola ma è uno di quelli che fa il mestiere per cui ha studiato: professore di italiano alle superiori. E così il suo retaggio è stato un ritorno alle origini dei suoi nonni, in quella cesura genitoriale e in quella passione per quegli animali e per quelle diversità. Le poche vacche in lattazione sono una miscellanea di possibilità: Varzesi, Brune Alpine, Grigio Alpine, Rendene, Savoiarde e una Pontremolese, rarità delle rarità. Un attimo prima che il folclore diventi folcloristico e la produzione saggio di bravura.

Un anziano del posto ad aiutarlo, uno di quelli per cui il dialetto è una pelle di carta vetrata attraverso cui tenere a distanze borghesi i perditempo urbani, doppia mungitura e un’unica caseificazione serale (e nemmeno tutte le sere). I temi vanno corretti e le cariche batteriche vanno rispettate. Un latte fuori logica, assolutamente sul confine di un’impossibilità empirica: settantamila cellule somatiche e quasi l’otto per cento di grasso. Il controllo è un dato che sfida le leggi della percezione.

Formaggi d’alpeggio nella pianura più profonda e così la riconoscibilità diventa demarcazione. Il lavoro si fa sulle colture e sui tempi. I luoghi non sono né casere né malghe persuasive dal riflesso condizionato lattico. Niente fermenti e niente pastorizzazioni (eccezion fatta per il suo yogurt che è una particolarità compatta, molto morbida e non particolarmente acida). I formaggi richiamano l’alpe sia nei profumi che nelle forme. Lattico molto invernale, il Case di Viso necessita un po’ di stagionatura ma ha sentori estremamente puliti, rari per lidi che non siano quelli dello studio, la formaggella è perfetta, è qualcosa di prezioso, che non c’entra nulle con queste lande, grassa, piena, masticabile, con un filo di dolcezza in superficie, e una pasta semi-cotta elastica ma non collosa, profumi invernali, con poche amarezze e un retrogusto non particolarmente lungo. Poi ci sono le forme sbagliate, le croste fiorite, le proteolisi che ricordano il Munster, le muffe edibili e l’impossibilità ad andare oltre l’assaggio per lavorazioni mantecate che andrebbero approfondite mantenendosi all’interno del limite.

Cascina Bordonazza è un luogo veramente distante dall’abitudine, senza quella tradizione dalle poche domande e dalla molta stabilità, che in queste zone ha sempre avuto l’egemonia. La provincia lodigiana, dei formaggi freschi pastorizzati anche in cascina, non ha nulla più da insegnare e Gabriele, con la sua idea di selezione, con quella voglia di portare avanti razze autoctone e assolutamente adatte a quell’alpeggio estivo, attorno a cui ruotano fortune e ardimenti, ha imboccato la strada della differenza, adesso sta a lui lastricarla, lasciando perdere sigle e verecondie…

 

CASCINA BORDONAZZA

OSSAGO LODIGIANO (LO)

 

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