Monale fa parte di quel Monferrato sereno che ha smesso di concorrere e di fare gare. Qualche noccioleto, qualche vigneto, tanti boschi e molto silenzio. La pace è il filo rosso che lega tutti i movimenti di uomini e animali. Non c’è fretta e non c’è patina, manca quell’urgenza di rimostranza e di dimostrazione così facile in certe colline italiane. Sono luoghi come questi che ti s’incidono dentro, non lasciando scampo alla prigionia. L’amore è un finestrino abbassato in mezzo al selvatico e una sosta in cui ascoltarsi, spiando agri fruscii e vite terminate in lande dissepolte dove la fuga è stata per anni il modo di essere delle barbe lunghe e degli strumenti d’ottone. Queste dispersioni non hanno ottenuto raggiungimenti di benessere, ma sono rimasti per poter procedere al loro tempo, con quei ritmi naturali che son sempre stati sbeffeggiati dai colti metropolitani dalla gita con la tovaglia a quadri. Al di là dei fuggiaschi, questa rimane una terra di crescita e di singolarità, e così è capitato che un titolare di una ditta di impianti elettrici e sua moglie abbiano deciso di trasferirsi da Torino per far crescere i propri figli in mezzo al verde, senza filosofie indiane e senza dogmatismi di credo, ma nella semplicità dell’evidenza. E tutto questo è successo in una strada senza uscita di Monale, in fondo al bosco, qualche decina di anni fa. Continue reading Cascina Aris: formaggi di capre in libertà… Raffaele Denk
Categoria: Artigiani del gusto
Agrisalumeria Luiset: bordi collinari allevati… Mauro e Luigi Casetta
Ferrere. Città di polline e robinia, luoghi di castelli sepolti e dissepolti per ricorrenze storiche che non riportano oltre un’attualità domenicale. Terre di miele e di salami cotti, dove le arnie puntellano le colline di queste estremità del Monferrato che già intravedono la pianura prima di Villanova. Ferrere mantiene la tradizione della povertà come forma, con quelle macellerie tutte alla ricerca del prodotto proprio, di quel salame crudo senza la cultura del tempo e con quel bordo di sospetto che non riesce mai a venir meno. Alle rughe, tuttavia, continuano a garbare i vecchi fondi di magazzino, le serrande arrugginite e quel salame che pende stagionato senza fronzoli di certificazioni e origini. E così se il paese ruota intorno al passato, chi vuole innovare, provando a guardare il contemporaneo senza sfacelo, deve uscire, mettersi sulla strada e provare a determinare se stesso al di là di qualunque paura. Continue reading Agrisalumeria Luiset: bordi collinari allevati… Mauro e Luigi Casetta
Gioventù, pane e idee… Alessio Aimar
Carmagnola. Borgo agricolo sabbioso. Con delle definizioni e con dei coltivatori commercianti. Qui la gente vende, ha un centro storico raffinato ma piccolo, i classici portici bassi di città di frontiera tra province contigue nel diniego, e una pianura verdeggiante che ridà indietro tipicità uniche. Conigli, porri, peperoni, canapa, sanculotti e Renato Dominici. La storia della trasformazione e della cultura di un Piemonte realistico, fatto di fabbriche, di allevamenti e di serre, dove la primavera è sempre stata premiata con le tasche fruscianti e i pantaloni in fustagno. E così anche le sue frazioni contribuiscono a quell’orizzonte che non si riesce mai a chiudere nella geometria del suo centro, in quell’approdo sicuro dove farsi catturare da una giornata di sole o dalla tradizione che non è mai diventata futuro. Il resto è un puntellare di frazioni che non hanno alcun senso oltre a quello abitativo, di quartiere e di vendita di indulgenze. E così scopri che la magnificazione del web non sempre è corroborata da un’esistenza al di là dello schermo. Borgo San Bernardo è quel luogo sperduto dove si rinforzano i pregiudizi, diventano realtà, superano botteghe anacronistiche, volti rugosi e s’impastano sulla speranza che questa Italia non sia andata tutta a peripatetiche. Continue reading Gioventù, pane e idee… Alessio Aimar
L’asparago di Cantello: una fatica ripagata… Giacomo Mazza e Antonella Cabassa
Cantello. La Svizzera a un passo e un cantuccio della terra assolutamente definito, dove i non luoghi, la ripetizione che manda in tilt tutto quello che non è quotidianità, sono l’ordine di ogni giorno. Le chiese romaniche e i roccoli non attutiscono la nostalgia di un presente di villette, maneggi e rotonde. Un luogo storico riattato al tempo dei dormitori e della voglia di rimanere distanti, magari passando il confine per trovare un punto di vista migliore su occasioni e conti correnti. Cantello è il paese dell’asparago, da almeno duecento anni, di quello sfruttamento territoriale che ha capito come trasformare un’asta parrocchiale, per sostenere i costi ecclesiastici, in qualcosa di strenuamente legato alle colture di tutti. Qui si aspetta l’asparago e solo l’asparago. I campi sono arati, sono divisi, sono lacerati, hanno l’incombenza della primavera, vengono abusati per un paio di mesi e poi ricadono in un sonno privo di luce… A Cantello, la famiglia Mazza è una delle quattro grandi famiglie di produttori, forse la più grande, sicuramente l’unica che ha puntato su comunicazione e differenziazione una fetta importante di sopravvivenza e armonia. Continue reading L’asparago di Cantello: una fatica ripagata… Giacomo Mazza e Antonella Cabassa
Forno Brisa: fermentazione intransigente…Pasquale Polito, Esmeralda Spitaleri, Davide Sarti (Gregorio Di Agostini ed Enrico Cirilli)
Bologna è sempre rimasta aperta alle istanze dei giovani, a quelle richieste di collettività che senza sosta si son trasformate in quattro manifestazioni, tre canne, due risse, il tempo che passa e un lavoro notabile in uno studio del centro da dove guardare con altezzosità e protervia quella gioventù che continuava a formarsi senza regole. Professori, figli di professori, nipoti di professori, noie su noie senza un reale centro d’interesse. Il tempo che passa, il design, i tappeti iraniani, le travi in legno, la casa in centro, la dipendenza, la socialità come unica forma di esistenza e il conto in banca sempre carico di fascino, capelli al vento e biciclette in “isti”. Le crisi però hanno grattato un po’ di patina e così la produzione non è più rimasta nelle mani del figlio della portinaia ma si è elevata a sistema, a dato di fatto, a sussulto sociale, uscendo dalla clandestinità delle botteghe fuligginose, è stata concessa vieppiù la parola, la mostrazione e la definizione. Senza perdere quel senso di socialità e di fragilità così impregnate. E da qui, da Slow Food e da parti dell’Italia ben distinte, sono arrivati i tre, quattro, forse cinque giovani che compongono le tessere di questa storia. Continue reading Forno Brisa: fermentazione intransigente…Pasquale Polito, Esmeralda Spitaleri, Davide Sarti (Gregorio Di Agostini ed Enrico Cirilli)
Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari
Bologna è portatrice sana di località. Ci sono delle tradizioni che non possono essere mistificate, bisogna rimettere una logica ghiotta al posto di un punto di vista che scivola sempre verso il moderno. Quest’antichità salvifica non è mai diventata anacronismo, si è sempre seduta alle tavole delle rezdore per procrastinare il giorno del cambiamento. E così per secoli si sono perpetrate ritualità condivise, momenti dissepolti di convivialità reiterata. Bologna ha sempre mostrato se stessa, fuori dai portici e dentro quell’accento che è già pinguedine, che richiama all’opulenza, alla voglia di non farsi mai mancare un accento di tradizione, che è contadina, borghese e passeggiata. La tavola ha unito, unisce e continuerà farlo, a mettere l’estrazione sociale ai piedi dell’osteria e della bottega, con cattiva pace di chi ha provato a portarsi via la rettitudine. Qui non si può scherzare con il magmatico e con il concettuale, bisogna rispettare una cittadinanza che non è sempre stata profeta in patria. E l’attimo del tortellino e del suo brodo è quello che tutti continuano ad aspettare, ad esaudire e a continuare ad aspettare… Continue reading Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari
Galliera 49: collettivo, idee, gelato … Maurizio Bernardini, Jacopo Balerna, Fabio Nanetti e Valerio Alfani
Bologna è una città che ridà indietro. Umanità, calore, professionalità, diaspore e relazioni. Che permette conversazioni ed associazioni. Il collettivo è una forma di pensiero condiviso e di ritualità apotropaica. E mettere da parte il male, attiene al pudore più che all’orgoglio. Perché qui si riesce a creare antologia non prescindendo dal centro. Gli artigiani rimangono dentro e provano a creare fucine, cercando la concorrenza più che rifuggendola. Il dispaccio nascosto e surreale è quello di lavorare meglio, di provare a rendersi estetici senza dimenticare l’etica, a riempire il non riempibile della cucina contemporanea, sempre più “minimalisticamente” imperversata a giustificare la propria assenza. E così Bologna si riempie, diventa barocca, quasi pantagruelica, di forme e contenuti, accettando la sfida di essere sempre la Grassa. Perché questa è la nevralgia dell’Italia e così deve essere mostrata al mondo. Ghiotta e saporita, con quel saper fare che non è mai prepotenza ma sempre capacità di rimettersi in gioco. La retroinnovazione delle forme in questa città parte ancora dagli ingredienti, dalle materie prime. Dalle radici al demiurgico, non si può prescindere dagli stati di creazione, da quel mondo ipnagogico che è illusione e realtà. Continue reading Galliera 49: collettivo, idee, gelato … Maurizio Bernardini, Jacopo Balerna, Fabio Nanetti e Valerio Alfani
PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini
Bologna ai primi caldi è un rilucere di ozi, pedissequi portatori di borracce e cercatori di fortuna. La zona prospiciente l’università, sotto quei portici fatti per la pioggia e per un’intimità da portone appena accennato, non lascia scampo al pudore, alla voglia di solitudine e di prosperare nascondendosi. È tutto molto manifesto in questa Bologna da centro storico e abbandono da prefabbricato di periferia. La cesura è talmente netta da non rilasciare indietro neanche un pizzico di pietà. O sei dentro o sei fuori. E così è difficile trovare una città con una piazza così ricca di artigiani e cantastorie, di produttori che costruiscono botteghe e laboratori senza scappare, pensando alla passeggiata come unica forma di rispetto e di acquisto. Lavorare con il mondo di dentro e non con quello che arriva da fuori. Code epocali, senza soluzione di continuità, con quella ritualità poco borghese di mettersi in fila per qualcosa che sia l’eccezione e non la normalità dell’offerta e della concorrenza. Questa Bologna attiene più alla vendita che alla compera, si respira un’aria alacre e industriosa che mostra come tutto sia possibile, come la volontà possa essere un’impresa e il desiderio la possibilità di molti. Continue reading PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini