Concettuali gelatieri di frontiera… Paolo Brunelli

brunelli

Agugliano. Quella collina da cui ti aspetteresti di più. Il cuore delle Marche è una definizione d’intenti e di urbanizzazione. Le strade lasciano posto alle corsie uniche, alle curve e alla natura più contaminata, quella degli agricoltori. Ulivi e vigne, i Monti Sibillini in lontananza, il Conero sullo sfondo e un paese che non ha provato a schivare la modernità. Unico luogo rimasto ai tempi di Philippe Noiret, con le sedie portate da casa, è il cinema che è insieme circolo sociale, ritrovo per anziani, sede del Festival del Gelato, probabilmente conciliabolo politico ma soprattutto luogo dove innalzare a leggenda le proprie virtù: dalle carte al sesso fino al cortile. In questo luogo, che avrebbe la posizione per mantenersi inalterato, l’albergo Belvedere sfrutta i trecentosessanta gradi del panorama per non darsi una tonalità che non sia quella dell’accoglienza. Un hotel con colazioni, pranzi, cene, enoteca, cioccolateria, caffetteria ma soprattutto gelateria. Tutto sussunto sotto un tetto. La famiglia Brunelli ha cercato, nel corso del tempo, di rinnovarsi senza abbandonare l’ospite.

Paolo è nato qui, ha cominciato con il gelato, si è trasformato in musicista da cassetta registrata, è diventato sommelier e ha provato a rendere l’inverno meno lungo attraverso il cioccolato.

Il luogo è antico, moderno, anacronistico e futuristico. Non c’è niente di scontato. Così c’è la sala delle carte, la caffetteria intarsiata di ottone, la boiserie a corredare, le tavolate su un belvedere ormai oscurato, straordinarie terrazze contornate dal mattone faccia a vista che del rinascimentale si porta dietro i colori e la vista su un orizzonte intatto.

Paolo è un concettuale con le orecchie sempre in movimento. Ascolta, apprende, entra in crisi, sperimenta e discerne. C’è un momento di presenza e uno di assenza, quello in cui si accorge del pistacchio. Sul crine ci sono la purezza straordinaria di una fragola e la vaghezza di un ingrediente in più. Forse Paolo deve lavorare sull’assenza più che sulla presenza, togliere e non mettere. Le sovrastrutture devono lasciare che le sue fenomenali capacità di gelatiere diventino un mezzo. Tutto parte dal laboratorio.

Quattro pastorizzatori per quattro pastorizzate, verticale e orizzontale, una torta con una glassa a specchio al cioccolato appena uscita e una quantità d’idee da testare al palato. La ricerca dell’abbinamento giusto non è mai un’ossessione ma sempre una dedica. Ogni serata ha il suo vestito giusto. Gli accoppiamenti rifuggono la noia di presentarsi sempre in jeans e maglietta. Così la Milano da bere diventa un cioccolatino da dito medio alzato in piazza Borsa con Campari e arachidi, l’anice Varnelli, una religione marchigiana, entra nei gelati, nelle torte e nei biscotti, i frutti di bosco e della passione diventano ganache, mandarino e gelsomino provano a trovare un punto d’incontro nel tè verde, e le mandorle di Toritto diventano torrone natalizio. Paolo è un artigiano che pensa come uno chef. Limite e merito si dividono gli oneri, il palato può rimanere estasiato o sospeso. Così per il suo gelato.

Dove non arrivano le materie prime, arrivano le sue visioni: zabaglione, mascarpone, anice e caffè si trovano e si disperdono, sono gusti differenti, a volte simili, a volte no, la struttura non strappa mai e i gusti incidono per essere combinazioni così delicate, la crema Brunelli originale, con nocciole pralinate, vaniglia e cioccolato, è bilanciata molto bene, meno la crema classica, che rimane un filo a mezza strada tra vaniglia e agrumi, il limone è poco aromatico, la fragola eccezionale con una struttura perfetta, una netta pulizia di fondo e nessun retrolfatto terroso, la mandorla è mandorla, l’armellina è rimasta all’interno dell’albicocca, il pistacchio è la crisi, la nocciola (Cascina Grangia…) è la prima nocciola che, nonostante una tostatura visibilmente eccessiva, non rilascia né ferro né legno, il fior di latte strappa e rilascia troppo latte condensato mentre il cioccolato è particolarmente goloso nonostante lavorato con latte e aria. Il solito overrun rilascia maggiore illusion, come fosse un semifreddo. Il suo gelato è carico (l’estate è solitamente regolata dal suo fior d’alpeggio tedesco e dalla ricotta di bufala Trionfi Honorati), grasso, ricco, panna e proteine si sentono, a volte collimano a volte no, è un gelato molto diverso, più nel contesto che nei neutri. La bilanciatura perfetta tra addensanti (carruba e guar solitamente), farine, fibre, grassi e proteine lascia spazio alle sue fantasie che a volte sono esaltanti. La nobiltà della materia è prima di tutto una celebrazione del palato.

Paolo disarma per gentilezza, non rifiuta mai una critica, non si espone mai ad un elogio, procede per tentavi e non per certezze, è uno sperimentatore ma non un ideologo. Questa è la sua grande forza per portare a casa il cliente. La sua gelateria, nonostante Agugliano, è sempre consumata, d’estate è sempre piena. Le sue vaschette si riempiono e si svuotano. Il Festival, che Paolo organizza, è la ricerca di un gelato che tra i capanni dell’Adriatico furoreggia solo di colori. Così, mentre saluto una nostalgia di dialogo compreso, lo lascio sul crine di un pensiero che non è ancora una definizione. Ecco! La gelateria Brunelli, o enocioccogelateria Brunelli, è una frantumazione polimorfa, a volte un po’ sfocata, a volte talmente icastica da essere già collina e grano trebbiato…

 

ENOCIOCCOLATERIA BRUNELLI

PIAZZA VITTORIO EMANUELE II

AGUGLIANO (AN)

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